martedì 15 maggio 2012

Caro disilluso


«È un peccato trovarvi bella?»
«Non sopporterò le vostre parole!»
«Non le sopporto neanche io.» l’uomo finì di bere, si alzò, prese il fez e non aggiunse altro. Rimase con in mano il cappello, finché, vinto, sbuffò adagio, si girò e uscì dalla sala da tè.
«Stupido.» disse. Ripensò alle lettere di Anna, che gli rivelava d’avere un altro. Ripensò a Francesca che gli aveva detto “sei inaffidabile”; a Giulia, che gli aveva detto di volere un vero uomo.
«Signore.»
La donna lo stava chiamando. Egli si fermò, fece un sospiro, si girò. Lei era lì con uno sguardo di fuoco e le linee del viso tirate.
Lui si passò una mano sulla faccia: «Dite.» la esortò.
Lei aprì la bocca, la richiuse, la riaprì, prese fiato e disse: «Andrete in battaglia?»
E che significava?
Un po’ stupito, rispose di sì. Ci sarebbe andato presto.

Lei fece un sorriso, aprì la bocca per parlare. Lui la precedette.
«“Spero crepiate trafitto da mille baionette inglesi”.» disse, poi fece un sorriso, «beh, tante grazie. Saluti.» si girò e s’incamminò sotto il sole.
Con la coda dell’occhio la vide torcersi le mani in grembo e guardarsi le nocche.
«Volevo dire “francesi”,» fece l’uomo, «“francesi” non “inglesi”. Perché voi siete francese, così vi sentirete meglio. Bene. Saluti.»
Lei non ribatté.
L’uomo camminò sulla strada fino alla casa dov’era alloggiato. Entrò, salì in camera sua e trovò il collega, un certo Davide, che leggeva un libro, disteso sul letto.
Vedendolo, Davide chiuse il libro.
«Ho trovato una moneta romana.» gli disse, con un sorriso.
«Anch’io ho trovato una moneta romana.» fece l’uomo, cupo in volto.
«E dove?»
«Dietro il mio occhio sinistro. Là c’è una moneta romana. E ce n’è una nel mio cuore. Ho trovato il passato, Davide, e non so vivere il presente. Non vedo futuro. E dovrei comandare degli uomini?»
«Portiamo il cibo al fronte.» disse Davide.
«Già, pastasciutta quando va bene su quella baracca a cui saltano le balestre. Il sole non mi scalda. L’Italia mi perseguita. Nei Monet dell’ufficio di comando vedo riflessa l’immagine di Giulia. Nei colori del deserto vedo la pelle del suo viso. Nel frutto degli ulivi scorgo gli occhi di mia madre. Sono un idiota, Davide, un idiota che ha la responsabilità di portare pasta al fronte. Mi hanno fregato, mi fregano sempre. Spero di farmi sparare, ma ho paura della morte, o forse, del dolore. Dammi una sigaretta.» disse a Davide.
Quello lo accontentò. L’uomo accese la sigaretta e fece un tiro. Il viso gli scomparve dietro al fumo.
«Gli inglesi ammazzano i prigionieri a pugnalate. Farà male. Forse debbo mettermi a scambiare lire con i franchi nei banchetti tunisini al suk. “È un peccato trovarvi bella?”, così le ho detto – l’uomo sorrise alla sigaretta – è che non ci posso fare niente. È come se in una donna, in una bella donna, vedessi la luce. So di non essere l’unico, ma la mia corazza non è buona come quella degli altri. Spero che il primo seniore bruci i suoi quadri. Ad ogni modo, lo sai perché sono qui? Perché mi sono arruolato? Perché volevo isolarmi, tagliare i ponti con tutti a casa. E li penso e quelle donne mi tormentano. Rifarei la strada all’indietro in ginocchio, ma il buonsenso e l’amor proprio me lo vietano. È meglio crepare pugnalato dagli inglesi che farsi prendere in giro da quelle puttane. Non credi?»
«Dove l’hai incontrata? Chi è?» chiese Davide.
L’uomo agitò la sigaretta: «Alla sala del tè. È francese. La vedo a teatro a volte. Ci va con la madre.»
«Come si chiama?»
«Non lo so. Non voglio sapere niente. La moneta romana nell’occhio è di Decio e la tua?»
Davide sorrise: «Anche la mia è di Decio.»
L’uomo annuì: «Forse troveremo la spiegazione nelle sabbie gialle. Ci sarà un’altra Leptis Magna. Forse vedremo la fonte della non permanenza, Davide.»
«Si tratta di consegnare razioni militari.»
«Sì e no, amico mio. Bisogna comprendere perché ci batta il cuore. Può darsi che io sia stanco dell’Africa. Avrei bisogno d’una comune campagna. Avrei bisogno d’un automobile e una strada lunga che passi tra piccoli paesi della Toscana o dell’Umbria. Avrei bisogno del vento, Davide.»
«Non ti seguo.»
«“Andrete in battaglia presto?” mi ha domandato. Come se gliene importasse. Non cadere nell’inganno. Ho la testa che mi scoppia. Non devo più riflettere. E tu sei il mio unico interlocutore.»
«Dovresti farmi un monumento.» disse Davide.
«Non so nemmeno di cosa ho bisogno.» fece l’uomo.
D’un tratto sentirono il rombo di un aereo e un gran clamore scoppiare per la strada. L’uomo andò alla finestra, l’aprì e vide, proprio sotto di lui, una camionetta in fiamme. C’erano alcune camicie nere a terra. In aria, un aereo si allontanava.
«Gli inglesi!» urlò un milite.
Per la strada c’era fumo. Le volute s’innalzavano come colonne d’insetti nel cielo.
L’uomo lasciò la camera e scese di sotto. Oltrepassò la porta e uscì fuori. Si mise a correre verso la sala da tè.
La francese era lì, sull’uscio e guardava lui negli occhi.
«Voi.» disse. Solo questo: “voi”.
«Quell’apparecchio potrebbe tornare. Vi conviene andarvene a casa.» disse l’uomo. Guardò in alto, nel cielo macchiato di fumo. L’apparecchio doveva aver colpito qualche deposito di munizioni.
Lei non si mosse.
«Perché eravate sola là dentro? Dov’è vostra madre?» domandò lui.
La ragazza fece segno di diniego.
Colpi di cannone e poi un rombo di tuono che non s’arresta mai. L’uomo riconobbe il canto dei carri armati. Erano fuori dalle vecchie mura arabe, da qualche parte.
Egli guardò la ragazza.
«Maledetta.» disse, con tono calmo. «Il destino v’ha messo qui perche io vi salvi. Venite.» aggiunse. Allungò una mano per prenderla. Lei si ritrasse.
«Andatevene.» gli disse. «Buongiorno.»
«Potessi, vi sparerei.» ribatté lui, «ma quelli torneranno, perciò.» la prese per un polso e le diede uno strattone; lei incespicò in avanti e lui la fermò con un braccio.
«Lasciatemi!» urlò lei, cercando di divincolarsi. «Siete pazzo!»
«Sì! A non spararvi.» disse lui. La strattonò, facendola uscire del tutto dalla sala da tè.
In mezzo alla strada qualcuno chiamava “Marie” ad alta voce. Una donna bionda, dall’aria disperata.
«Ici!» urlò la ragazza, in francese. La donna la vide e disse: «Marie!»
L’uomo le lasciò il braccio: «Andate!» disse, «Andate via.»
Marie corse dalla madre. Le due si abbracciarono.
L’uomo, allora, alzò gli occhi e rimase a guardare le volute di fumo oscurare il sole.
«Sembra ci sia solo il presente, inutile come quel fumo,» mormorò, «e io mi sento come quel fumo. Pieno di libri nella testa e di ruggine nel palmo delle mani.» si accese una sigaretta, producendo i figli dell’incendio più grande.
«Il mio cuore non batte più.» disse.
Guardò le due donne scomparire, adagio, tra la gente che si era riversata stupidamente in strada.
«Davide! Icaro torna.» disse rientrato in casa.
«Ti aspettavo.» fece Davide, «Mi sembra d’essere qui inchiodato da anni.»
«Sei come il comprimario di un romanzo, amico mio.» disse l’uomo. «Ce l’abbiamo la Mp-40?»
Davide annuì, tolse da sotto il letto un baule, lo aprì e prese un mitra più cinque caricatori dritti e sottili.
L’uomo lo impugnò e disse: «Fa’ preparare la carretta con i pentoloni di zuppa. Gli diamo la zuppa, no?»
«Dipende. Non so.» disse Davide.
«Non usare quel tono con me, capito? Potrebbe darmi fastidio. Ascolta, non mi frega se ti sembro strano: la vita mi ha fatto così, ma tu porta rispetto. Io non ho voglia di preparare quella carretta e devi farlo tu. Ho bisogno di svagarmi e perciò, di portare da mangiare a quei poveri cristi laggiù, nel deserto. Se hai paura, stattene rintanato a leggere libri, ma prepara la camionetta. Ci vado anche da solo, al fronte. Lasciamo qui pure gli altri due militi e l’autista civile. Non m’interessa.»
«Dicono che eri nell’esercito.» fece Davide.
«Dicono tante cose.»
«Ma perché sei venuto qui?»
«Davvero vuoi saperlo? No. Io credo che tu lo dica per parlare. Sei curioso solo a metà, Davide.»
«Ascolta.»
«Forse, un tempo. Non mi va più d’ascoltare adesso. Va’ e torna con la zuppa. Io sono ah, io sono niente. Ma almeno voglio cercare di far mangiare quei ragazzi.»
«Sissignore.» disse Davide, uscendo a precipizio dalla stanza.
Rimasto solo, pensò a Giulia e morse la canna del mitra, adagio, come un cucciolo di cane che saggi una ciabatta.
«Se ti scappa un colpo sai che ridere monsieur.» sulla porta era apparso un francese attempato con le basette lunghe.
L’uomo lo guardò e riuscì a sorridere: «Già.»
«Vuoi ammazzarti, così fai un favore alla Francia?»
«Lo faccio a me stesso.»
«Bene. Allora rimango qui a braccia conserte, se non ti dispiace, monsieur.»
«Ah! Non mi seccare.» l’uomo si sedette sul letto, poi si alzò. «Non mi seccare.» ripeté.
Il francese sbuffò.
«Hai qualche franco?» chiese, poi.
L’uomo gli diede un’occhiata.
«Tu hai lire?» chiese.
«Sì.» disse il francese.
«Duecento franchi.» fece l’altro; si frugò nei pantaloni e afferrò un lembo di banconota. Si buttò indietro sul letto per disincastrare i franchi dalle tasche.
«Ecco.» disse, tirandoli fuori.
«Il cambio è uno con uno e trenta.» aggiunse.
«Ho duecento lire. Se le vuoi.» fece il francese.
L’altro sbuffò: «Se le voglio. Se le voglio. Sei tu che hai chiesto i franchi. Tu chiedi e poi fai fare a me la parte del miserabile? Te li ho domandati io i franchi? E adesso vieni a dettarmi condizioni. Beh, dovrei spararti, ma non lo faccio. Semplicemente non ti do nulla. Mi tengo i miei soldi e ci faccio la spesa al mercato. Magari li cambio con le lire da qualche tunisino.»
Il francese alzò le braccia: «Monsieur non ti arrabbiare!» disse.
«Come posso, se tutto mi fa rabbia?»
«Gli inglesi!» urlò qualcuno da fuori.
«Urrà!» disse il francese, gettando le braccia al cielo.
L’uomo si alzò, si mise il mitra a tracolla e uscì.
«La legione! La legione!» disse qualcuno.
C’era un viavai di camionette e un pestare di piedi. Volontari andavano e venivano con i fucili e i moschetti in pugno.
«Brucia! Brucia tutto!» urlò un soldato.
L’uomo guardò oltre le case coloniche e i filari di palme: un incendio faceva rosseggiare l’orizzonte.
Alle narici gli giunse odore di nafta.
«Hanno colpito i serbatoi.» disse.
Scostò brutalmente il francese, gli fece uno sgambetto e lo spinse. Quello cadde; l’uomo gli puntò addosso il mitra. Il francese tremava.
«No, no monsieur!» disse.
«No, no monsieur?» l’uomo rise. Tolse la Mp-40 dalla faccia del francese, poi salutò, fece le scale e uscì.
«Mario!» Davide lo chiamava da un’altra dimensione.
«Mario!»
«Davide. Hai paura?» disse l’uomo.
«Mario dove sei? C’è tanto fumo.» fece Davide.
«Quella puttana si chiama Marie.» fece l’uomo.
«I serbatoi!» disse Davide.
«Sì, gli aerei inglesi. Bum.»
«No. Siamo stati noi. Abbiamo bruciato la nafta.» disse Davide.
«Arrivano i carri tedeschi e là ci sono gli inglesi. Siamo tra due fuochi.» aggiunse Davide. «I ragazzi al fronte saranno morti.»
Sentirono il rumore di una camionetta e la videro passare di gran carriera per la strada. A bordo c’erano dei soldati tedeschi. Stavano in silenzio e guardavano il deserto.
«Abbiamo bruciato la nafta. Vuol dire che è la fine.» disse Mario.
«La fine.»
Guardò il deserto coi suoi demoni, coi fantasmi del presente e l’odore dei vinti.


FINE


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