mercoledì 16 maggio 2012

L'uomo che guarda dopo la pioggia


Licenza Creative Commons
L'uomo che guarda dopo la pioggia by Marcello Nicolini is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Unported License.
Based on a work at alessandrogirola.me.
Permissions beyond the scope of this license may be available at http://alessandrogirola.me/due-minuti-a-mezzanotte/.

La prima volta m’è successo camminando in un parco dopo la pioggia. D’autunno, vedere le foglie rosse schiacciate da pozze d’acqua è come ammirare un quadro. Ricordo d’aver avuto un lavoro a quel tempo e di aver perso Giulia. Non che fossimo fatti l’uno per l’altra, non che mi dispiacesse che ci fossimo lasciati. Non capivo come mai succedeva sempre. Se ne andavano tutte, senza spiegarmi nulla. Andatevene pure se vi piace, ma almeno ditemi, fatemi sapere. C’è qualcosa che non va in me? O in voi? Possibile che ci sia qualcosa che non vada in tutte voi?
Dunque qual è la risposta?
Pensavo alla barzelletta del tizio che va in contromano in autostrada e alla radio sente che c’è un pazzo che va in contromano in autostrada. “Uno? Ce ne sono migliaia!” dice.
E guardai una di queste pozze. Stava tra le radici d’un albero, ai margini del viale che percorrevo. Era il 1973.
Sì, a quell’epoca facevo il guardiano del complesso esterno della Salazar, a Pero. Producevamo energia alternativa, perché dopo la guerra del Kippur il petrolio se n’era andato alle stelle.
Questa cosa, basata sugli esperimenti di un certo Tesla, avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo.
Rivoluzionò me, invece.
Perché guardai nella pozza e vidi la mia faccia. E accanto ad essa, notai una persona che non c’era.
Giulia. Lei. La guardavo dal basso in alto, scorgendo i suoi capelli rossi, le lunghe gambe, la bocca sorridente. Ma indossava una maglietta a fiori e dei jeans. Ai piedi aveva un paio d’infradito.
E faceva freddo, un freddo dell’ostia.
Gli occhi di lei erano rivolti verso l’orizzonte. La guardai fare un passo e sparire dalla pozzanghera. Allora mi tirai su e mi guardai attorno.
Non c’era nessuno in quel parco. Quasi non credevo d’esserci neanche io.
«Giulia!» chiamai. «Giulia!»
nessuna risposta.
Mi misi a correre, poi tornai alla pozza. E lei era lì.
«Giulia!» chiamai. Lei si girò, guardò ovunque, poi la sua voce: «Chi mi chiama?»
«Sono io, Flavio… Flavio!»
stavo parlando ad una pozza d’acqua.
«Flavio? Flavio chi? E da dove parla? È dietro a un albero?» domandò.
Come potevo spiegarle d’essere dall’altra parte della pozza? E cos’era quel mondo che vedevo oltre l’acqua?
C’era un albero dietro Giulia: aveva foglie che sul mio erano cadute.
Allora pensai: è estate lì. Mentre da me è autunno.
C’eravamo conosciuti il 26 agosto, al mare. Forse nel mondo della pozzanghera era estate. Ma di che anno? Giulia mi sembrava pressoché uguale a come la ricordavo. Solo non… non aveva il mio braccialetto. E, sì, i capelli erano ancora lunghissimi. Dopo avermi conosciuto li aveva tagliati un po’.
Il desiderio di lei mi fece comprendere il potere che l’irraggiamento di energia Tesla mi aveva regalato.
Finii nella pozzanghera. E incontrai Giulia, di nuovo. Non mi conosceva ancora. Anticipammo il nostro incontro nel mondo “al-di-qua”. Era il 16 agosto lì.
Otto mesi dopo, la storia terminò comunque. E mi trovai a camminare in quel parco nel mondo “al-di-la”.
Se c’è uno specchio d’acqua e mi concentro su qualcosa in particolare, anche qualcosa che non conosco, anche qualcuno di cui ho solo visto una foto, beh, dall’altra parte vedo ciò che è successo prima.
Vedo e interagisco. Salto da un mondo all’altro.
Mi chiamano Rainman dall’uscita del film. Meglio di “uomo pozzanghera”. Un giornalista coniò per me “Il Visionario”. Nome stupido. In Rainman mi ci ritrovo, perché mi sento un po’ autistico, come Hoffmann nel film.
È che due mondi sono decisamente troppi per me.

Nel 2012 lavoravo per il Nucleo Investigativo di Monza già da trentacinque anni. Se c’era un omicidio nei giorni di pioggia, mi portavano lì e mi facevano guardare le pozzanghere. Dopo un po’ scomparivo e riapparivo, tornando col nome dell’assassino.
Non si salvava nessuno; anche se i criminali tendevano ormai a compiere omicidi solo col bel tempo, prima o poi – la mia percezione andava indietro di sei mesi – lì ci sarebbe piovuto. E si sarebbe formata una pozza.
Dal 1973 al 2012 il mio fisico sembrava invecchiato di soli quattro o cinque anni. Ero un tizio magro, d’altezza media, con i capelli neri e gli occhi castani. Come se ne vedono a migliaia. Non fosse che la mia foto, ogni tanto, era sulle pagine del Corriere. Non fosse che per dodici volte avevano tentato di farmi la pelle.
Il mio corpo è abbastanza resistente: dovrebbero spararmi con un fucile a pompa a bruciapelo in testa per uccidermi. Le pallottole di 9 millimetri mi si schiacciano addosso come se avessi un giubbotto antiproiettile.
A parte questo sono un uomo normale: bevo e cerco di avere una vita. Ma è la vita che cerca di non avere un me.

«Allora, Sabini, lei entra nella pozza, guarda che è successo, esce e ci fa rapporto come al solito, va bene?»
Il maresciallo Sannuto mi guardò mentre parlava. Attorno, le unità della scientifica stavano analizzando il luogo del delitto.
C’era questa giovane ragazza bionda, trovata cadavere nuda e senza documenti. Dai tratti somatici – occhi obliqui e zigomi alti – sembrava dell’Est.
Ultimamente c’erano piccoli flussi migratori dalla RSUB che venivano in Occidente.
Ero già equipaggiato con una trasmittente nascosta e con la Glock – regolarmente denunciata – che mi portavo appresso dal primo tentativo d’omicidio.
«Va bene.» dissi al maresciallo.
Un carabiniere in gonnella mi passò accanto e mi guardò. Aveva nel viso un’espressione come di disgusto.
La guardai. Pensava: “mostro” o qualcosa del genere? Probabile.
Mi avvicinai alla pozzanghera e ci scrutai dentro. Dopo un po’ tornai da Sannuto.
«Laggiù è estate.» dissi, cominciando a levarmi la giacca. Avevo una camicia e un paio di jeans.
Cercai di nascondere la pistola tra la camicia e i pantaloni, come avevo visto fare nei film americani.
«Le diamo un giubbetto leggero.» disse Sannuto, vedendo il gesto.
«Guardi, soffro il caldo.» spiegai.
Mi riavvicinai alla pozzanghera. Sentii il maresciallo annunciare alla radio: «Rainman sta per entrare.»
Guardai dentro e vidi le gambe di alcune persone che passeggiavano lungo la strada. La ragazza l’avevo già vista prima, riconoscendola a causa di un tatuaggio sul polpaccio destro.
Provai la sensazione di buttarmi da uno scoglio e di finire in mare.
Ero dall’altra parte.
Ancora oggi non so dire quale dei due mondi sia reale e quale sia creato dal mio potere. Cos’è reale? Chi riuscirebbe a dirlo con sicurezza se fosse me?
Passò un uomo con un labrador al guinzaglio. L’uomo mi aveva visto uscire dalla pozza.
Stava ancora urlando. Come tutti gli altri vicino a me, lungo la strada. L’unica a non urlare era lei, la ragazza.
Aveva gli occhi fissi su di me. Erano azzurri.
Stupidamente non avevo guardato bene, finendo in quella strada affollata in un’ora di punta. Concentrandomi avrei potuto regolare approssimativamente il giorno e l’ora della “visione” e dell’entrata nell’“al-di-la”. Ma ormai il danno era fatto e mi avevano visto. Forse l’assassino era nei paraggi e se ne stava andando, spaventatissimo.
Impedire gli omicidi. Non ci ero mai riuscito.
Una volta avevo ucciso un uomo che stava per strangolare una prostituta. Ma quand’ero tornato “al-di-qua” la donna era sempre morta e lui a piede libero, vivo. L’avevano inchiodato i carabinieri grazie alle mie informazioni.
Così non tentavo più di salvare nessuno. E di solito non mi avvicinavo neanche alla vittima.
Fu lei ad avvicinarsi a me stavolta.
Parlò in russo: «U menia Rainmanie!»
Conosco quella dannata lingua: “Ho Rainman” ecco cos’aveva detto. E l’aveva fatto piegando la testa di lato, come se…
Come se stesse parlando ad una trasmittente.
Dal portone del palazzo di fronte uscì un uomo. Aveva il viso lungo e impugnava un Ak-74.
«Horosciò Sniega.» disse l’uomo, parlando alla ragazza.
Io cercai di scappare. Mi sentii mordere alle gambe e caddi. Solo dopo l’orecchio registrò il rumore dei colpi del fucile.
Attorno a me era il caos. Gente che urlava, che fuggiva. Ancora niente sirene della polizia.
«Sabini, Sabini!» chiamò il maresciallo dall’“al-di-qua”.
«Cristo… » dissi io, nella trasmittente.
«Sabini che succede?»
«Sono… mi hanno beccato.»
«Torni indietro! Torni subito!» urlò Sannuto.
Provai ad alzarmi. E ci riuscii. Anche le pallottole da 7.62 dell’Ak avevano fatto una brutta fine, dopotutto. Ringraziai mentalmente il mio corpo da superuomo.
Il russo mi sparò un’altra raffica. Io barcollai e caddi nella pozzanghera. Ma all’ultimo, prima di “traslare” nel mondo “al-di-qua”, la ragazza mi afferrò il polso e mi prese la Glock.
Tuffo. Acqua.
Ero in mezzo ai carabinieri.
«Ja sdies!» disse la ragazza alla trasmittente.
La Glock tuonò, colpendo Sannuto e altri due carabinieri. Vidi il maresciallo cadere stringendosi un braccio.
Le voci attorno a noi esplosero nel caos.
«U menia iego!» disse la ragazza. “Ce l’ho”, tradussi mentalmente.
Corsi via, lungo la strada. Superai una gazzella dell’Arma scivolando sul cofano, poi atterrai in una pozzanghera.
E cambiai mondo.
«Toje u menia.» sentii la voce del russo dietro di me. “Ce l’ho pure io”.
Mi sparò con l’Ak, mi prese di nuovo alla gamba, mi fece incespicare e finii contro l’angolo di un palazzo. Caddi, rotolai, mi rialzai e feci uno scarto improvviso a destra. Colpi di Ak sbriciolarono il muro.
Non volevano uccidermi, altrimenti avrebbero mirato alla testa o mi avrebbero colpito con un razzo anticarro. Questi mi volevano vivo.
Dalla strada uscì sgommando una Golf grigia. Sentii sulle gambe schiacciarsi dei proiettili di piccolo calibro. L’auto m’investì e mi fece pulire il cofano. Io rotolai e caddi dall’altra parte. Mi rialzai e ripresi a correre.
Ancora raffiche di Ak.
«Stoj!» fermati!
Una pozzanghera! Mi ci infilai.
Ed eccomi correre inseguito dalla ragazza e dai carabinieri.
La Glock mi morse alla natica sinistra, poi alla schiena.
«Mi vogliono vivo!» dissi ai carabinieri. «C’è un team armato dall’altra parte!» aggiunsi.
Prima di buttarmi in un’altra pozzanghera.
Il tizio con l’Ak era ancora lì e si teneva in contatto con la donna dell’altro mondo per mezzo della ricetrasmittente.
Mi prese ad una gamba e a un braccio. Barcollai all’indietro e finii investito da un’auto che sopraggiungeva.
Sentii il russo correre verso di me. Lo vidi abbassarsi e cercarmi sotto l’auto.
Ma sotto l’auto c’era una pozzanghera.
Nell’“al-di-qua” fui accolto dalle raffiche di Mp-12. I carabinieri rispondevano al fuoco della mia Glock impugnata dalla russa.
Mi girai, mi fermai e mi concentrai su di lei.
Si fermò. Accanto c’era una pozzanghera.
«Shto hochesh?» le domandai. “Che vuoi?”.
Lei rispose con una sola parola: «Ty.»
Finii nella pozzanghera, sperando d’aver fatto bene i miei calcoli.
Ero nella stessa strada e stava piovendo.
C’era poco traffico. Guardai l’orologio del palazzo Coin in piazza e lessi 10:12. Passata l’ora di punta. Pioggia. Bene, ero finito lì prima che accadesse tutto.
Faceva caldo.
La ragazza si trovava nell’androne del palazzo e discuteva con l’uomo dell’Ak. Dei tipi della Golf, nessuna traccia.
«Sniega, mi dispiace.» le disse l’uomo, in russo, scuotendo la testa.
Passò un tipo in bicicletta con un ombrello sulla testa.
«Lo so.» disse lei.
«Sono addestrata per questo, Misha.» aggiunse.
Era addestrata per morire? Perché il piano mi fluiva chiaro in mente adesso. Sniega, la ragazza, avrebbe fatto da esca, facendosi uccidere da Misha, per attirare i carabinieri e me. E io avrei guardato nella pozzanghera e mi sarei infilato nel mondo “al-di-la” dove loro erano pronti con gli Ak.
Adagio, Sniega si spogliò: prima la maglietta, poi i pantaloni. Rimase in slip e reggiseno: una visione di bellezza terrestre. Sganciò il reggiseno e se lo lasciò scivolare via. Mi sentii triste. Mi venne da piangere.
Le guardai i seni e provai a immaginarne il calore.
Sniega si tolse gli slip.
Avrebbe fatto pensare a un delitto passionale? Perché quello spogliarsi? Purificazione? O solo perché i carabinieri non trovassero altre tracce?
Nel mondo “al-di-qua” lei era già morta. Ed era viva e mi inseguiva lungo la via, attirando il fuoco dei carabinieri.
«Dobbiamo prenderlo, Misha. Dobbiamo scoprire se anche noi, per mezzo di Rainman, possiamo saltare da un universo all’altro.» disse Sniega.
Misha annuì; disse: «Allora va’ in mezzo alla strada. E aspetta.»
La ragazza s’incamminò sotto la pioggia.
A quell’ora non passava nessuno.
Vidi solo un negoziante, un arabo, guardarla dall’altra parte della strada e uscire dalla sua macelleria halal.
Vidi Misha imbracciare il fucile e prendere la mira. Le avrebbe sparato un colpo alla schiena, trapassando il cuore da dietro.
Passai in rassegna i fallimenti, i “me” che ero stato, le persone che avevo deluso.
Feci il bilancio della mia vita e guardai il grafico bucare l’asfalto e finire all’inferno.
Allora uscii, mi feci vedere.
Tenni le mani in alto.
«Ja sdies.» dissi. “Sono qui”.
Lei mi guardò. Per un attimo sgranò gli occhi. La pioggia le ruscellava adagio sugli zigomi, sul naso, sui seni.
«Sniega, davai, pajalsta.» dissi. “Avanti, per favore”.
«Non ti far uccidere.» aggiunsi.
Attraversai la strada. Mi fermai proprio davanti a lei.
Le toccai un braccio. Sentimmo entrambi la pioggia calda danzarci addosso.
«Di dove sei?» chiesi.
«Minskie.» rispose. “Vengo da Minsk”.
Bielorussia.
Ciò che rimaneva del blocco sovietico s’era fuso nella RSUB, la Repubblica Socialista di Ucraina e Bielorussia.
Sniega forse era un’agente, forse una fanatica.
«Sniega stoj! Shto dielaiesh?» urlò Misha, dall’androne. “Sniega fermati! Cosa fai?”.
Già, Sniega, cosa fai?
Già, Flavio, cosa fai?
Le strinsi il polso e mi avvicinai. Quasi avrei potuto sentire le sue labbra sulle mie.

La prima volta m’è successo camminando in un parco dopo la pioggia. Adesso mi capita tutte le volte che Sniega mi da una missione per conto dei servizi segreti della RSUB. Ma ogni tanto mi chiede di guardare indietro nelle pozzanghere delle strade di Minsk, per vederla correre da bambina coi capelli dorati e una veste a fiori addosso.
Sì, adesso posso tornare indietro di anni. Me l'ha fatto scoprire lei, con pazienza e dolore.
Mi tratta piuttosto duramente e penso quasi d’essere il suo cane. Ma torno sempre, perché qui, nell’“al-di-la” c’è lei che mi aspetta.

Flavio Sabini – Rainman.

5 commenti:

  1. Dimmi se ho capito bene... quando gli prende la Glock, la ragazza lo segue nel mondo presente?

    Comunque complimenti, un pezzo ben scritto, con un protagonista molto noir. Ho apprezzato anche l'introduzione con la presentazione psicologica del protagonista, psicologia perfettamente rispettata e ben inquadrata nel testo seguente.
    Se vogliamo trovare un difetto, mi sembra che la parte d'azione sia un po' confusionaria, con questo continuo saltare da un mondo all'altro non si riesce a seguire tanto bene quello che succede.
    Anche la parte finale non è chiarissima. Lei nel mondo presente non è morta? Per vedere nel passato a Minsk quindi passa anche lei nell'aldiqua? Contrasta con il fatto che lui dice che lei lo aspetta nell'aldila. Inoltre, non poteva andare indietro solo di sei mesi?
    Non fraintendermi, il pezzo mi è piaciuto, ma sono dell'opinione che un apprezzamento superficiale non valga quanto una critica se è costruttiva (sperando che la mia lo sia :-) ).
    Per contro, sei libero di massacrare i miei racconti se vuoi! XD
    Il Moro

    RispondiElimina
  2. Oh, grazie del commento, innanzitutto. Come dici tu i commenti tipo: bello! che bel racconto! o, come scrivi male! non servono a niente.
    Quelli come il tuo sì. Dici cosa non va, come non va, praticamente non ti poni da critico superfigo ma da lettore ed è ciò che mi serve. e che servirà anche a te quando leggero i tuoi racconti ;)
    allora:
    Ci sono due mondi: AL-DI-QUA che è il mondo diciamo vero.
    AL-DI-LA che è il mondo a cui Rainman accede tramite le pozzanghere.
    Rainman può "programmare" l'accesso ad AL-DI-LA concentrandosi e cambiando così anno, giorno, mese, stagione. Al massimo può andare indietro di SEI MESI.
    Ma questo all'inizio, perché dopo che si mette alle dipendenze di SNIEGA, scopre di potere andare indietro di ANNI. Ma questo non lo spiego nella storia ed è un errore, dunque chiedo venia. Lo spiegherò nella prossima.

    Quando Sniega prende la Glock, si attacca a Rainman e finisce nel mondo AL-DI-QUA. Ci finisce VIVA. Lì c'è sempre il suo CADAVERE.
    Quindi in AL-DI-QUA Sniega è VIVA e MORTA allo stesso tempo.

    Lei vede il passato a Minsk perché è già passata nell'AL-DI-QUA quando ha preso la Glock.
    E' vero, alla fine Rainman si arrende a lei nell'AL-DI-LA, ma nulla vieta di supporre che lui poi torni nell'AL-DI-QUA, che cerchi Sniega e che si metta con lei in questo rapporto strano da schiavo/padrona.

    Oppure possiamo supporre che, dopo esseresi arreso a lei nell'AL-DI-LA, scopra che guardando nelle pozze dell'AL-DI-LA può tornare indietro in un altro AL-DI-LA+1 di anni invece che di mesi.
    Ecco, questa può essere una spiegazione interessante, ma è da chiarire.
    Comunque mi hai dato un po' di idee. Grazie Moro!
    Adesso ti massacro ;)

    Marcy

    RispondiElimina
  3. Beh che dire un potere davvero originale! Mi è piaciuto molto il suo impiego per indagare negli omicidi! Un idea davvero azzeccata! Complimenti! ;) Chissà che qualcuno utilizzi questi personaggi spin-off a sorpresa nella trama principale! ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, sarebbe carino! Se me lo chiedono, do senza dubbio il mio consenso. Per ora mi sono messo a scrivere una cosa un po' lunga su Flavio Sabini - Rainman e sulla sua vita nell'Europa dell'Est.
      Metto il primo capitolo qui sul blog.
      Invece ora leggo i tuoi pezzi!

      Elimina