giovedì 28 marzo 2013

4. Il castello di Don Manuel - miniserie western







4.      Il castello di Don Manuel
Quelle rocce le aveva messe il Buon Dio per nascondere un uomo.
Erano lì da miliardi di anni; avevano visto gli oceani, la vita, la morte e il deserto. Ora brillavano per la luce della luna.
Sul carrizo scivolava l’odore dei cavalli e dei rurales. La notte portava le chiacchiere degli hombre.
Seth si sporse appena e studiò il “castello” da quell’angolazione. Era una piccola fortezza circondata da un muro di pietra al cui interno – gli aveva detto Ramirez – si trovavano degli edifici in legno e una casa padronale a due piani.
Don Manuel era in massima allerta: due uomini stavano di guardia al portone, chiuso. Sui camminamenti del muro, Seth vide la luce di un sigaro.

Dentro brulicava di pistoleri, ne era certo. Lui aveva due fucili, una doppietta, un revolver e il suo coltello. Dodici colpi per la pistola, venti per entrambi i fucili e cinque per la doppietta.
Adagio, si girò e alzò tre dita verso Ramirez.
Il vecchio sceriffo annuì. La sua stella di latta splendeva pericolosamente alla luce della luna: il vecchio non l’aveva voluta togliere per rispetto verso la legge con la elle maiuscola, la legge che aveva giurato di servire.
Forse era stato lo guardo stoico di Seth, forse le urla di Esmeralda a convincerlo.
Quel mattino, con in bocca la polvere di Ciudad Saguaro e la sconfitta, aveva chiamato il barbiere. Non per radersi.
L’uomo si era presentato: «Shaughnessy.» risvegliando amari ricordi sulla faccia di Seth. Sul tavolo della posada, con tequila e un coltello, Shaughnessy aveva estratto la pallottola e lasciato a secco il gringo: la tequila se l’era scolata lui per farsi coraggio.
Aveva aperto una pallottola e versato la polvere adagio attorno al foro, aveva guardato Seth e gli aveva detto: «Farà male.»
Il gringo aveva annuito.
Shaughnessy aveva dato fuoco alla polvere.
E s’era preso un destro da Seth. Diamine se faceva male!
Il muro non era alto come quello d’un fortino: stando in piedi a cavallo, Seth ci si sarebbe potuto arrampicare sopra. Però un cavallo al galoppo fa rumore.
Seth non conosceva il numero esatto degli sgherri di Manuel, né la loro posizione. Ramirez gli aveva disegnato una pianta del castello sulla sabbia: il gringo se l’era impressa bene in mente.
Entrambi pensavano che Esmeralda fosse tenuta prigioniera nella casa padronale, esattamente al centro delle mura.
Seth si girò di nuovo verso il castello.
La lucciola rossa si stava muovendo, segno che l’hombre sul camminamento aveva ricominciato la ronda. Gli altri due erano sempre lì, al portone. D’un tratto, uno batté tre volte sul legno e aspettò. Un momento dopo, il battente si aprì di un palmo e venne fuori la testa di un uomo.
Ci furono brevi frasi in spagnolo, poi alla testa si affiancò una mano che stringeva una bottiglia. Gli hombre di guardia afferrarono la bottiglia. La mano ricomparve con una scodella fumante. Gli hombre presero anche quella.
Seth batté il ritmo dei passi dell’uomo sul camminamento. L’uomo era arrivato a metà, cioè sopra il portone e i due da basso, quando venne affiancato da un altro pistolero, poi fece dietrofront e tornò sui suoi passi.
Questi non erano peon, ma ranger messicani, addestrati alla maniera militare. E pericolosi.
Maledisse la codardia del vecchio sceriffo per aver combinato quel pasticcio: se Esmeralda fosse rimasta in cella, i caballeros di Manuel non l’avrebbero presa e Seth avrebbe avuto il tempo di escogitare un piano.
Il gringo sospirò e si girò verso Ramirez. Gli strisciò accanto e gli si accostò all’orecchio:
«Vado io. Dammi la stella. Tieni i fucili e la doppietta. Sta’ pronto a coprirmi. Se va tutto liscio e riesco a eliminare le sentinelle ti faccio un segnale con la stella. Tu arrivi al portone e io te lo apro.»
«E poi?» domandò Ramirez.
«Andiamo dritti a casa di Don Manuel.»





Lasciò la copertura delle rocce con la gamba che gli faceva male. Camminava piegato, sgusciando verso destra.
S’era tolto gli stivali e aveva agganciato la stella dentro la camicia al contrario, di modo che la superficie di latta fosse coperta dalla stoffa.
Aspettò che la sentinella di destra fosse a un quarto di strada e scattò. Si gettò a terra quando entrambe furono a metà strada (l’altra, quella che si muoveva da sinistra a destra, avrebbe potuto vederlo). Si rialzò quando le sentinelle furono una accanto all’altra, fece qualche metro e baciò la polvere.
Lasciò che la sentinella di destra arrivasse all’angolo e si girasse, dandogli le spalle.
Stava per scattare – che nel suo caso si tramutava nello spingere la gamba sana – quando vide una testa far capolino dalla parte destra del muro, oltre l’angolo. Una terza sentinella sul camminamento. Doveva aspettarselo. Benché quel lato s’affacciasse solo su una desolazione a nord, Manuel aveva messo un uomo anche lì. Gli occhi di Esmeralda gli costavano la propria serenità.
Alzò gli occhi verso l’uomo affacciato al parapetto. Era impossibile che non lo avesse visto strisciare, da lassù. Ma no, stava guardando la luna ed era girato verso l’interno del corral.
Seth respirò tra i denti, adagio.
Poi fece qualche altro passo.
Guardò verso il muro est: la sentinella che veniva da sud era quasi a metà strada. C’era il rischio che lo vedesse.
Fece gli ultimi metri alla massima velocità consentitagli dalla gamba malandata.
S’appiattì contro il muro. Mattoni e calce: piuttosto solido.
Seth era appena dietro l’angolo. Sbirciò: le sentinelle si passavano la scodella e la bottiglia.





«Il muro est misura più o meno centoventi piedi.» gli aveva detto Ramirez. Il portale era in mezzo, questo voleva dire, per Seth, percorrere quasi sessanta piedi prima di arrivare agli hombre.
Sessanta piedi con una gamba ferita li si copre in tre secondi. Seth provò a contare: milleuno, milledue, milletre. Tre secondi erano un tempo lunghissimo.
Ma doveva provarci.
Decise di camminare adagio, evitando di guardarli.
Snudò il coltello e tenne la lama accanto al corpo. Poi partì.
Uno, due, tre, quattro, cinque passi.
Cominciò a distinguere i tratti delle sentinelle.
Quello più vicino a lui aveva una camicia, una fusciacca, una carabina e una trombetta d’ottone appesa in vita. I pantaloni erano della divisa di un rural.
L’altro indossava gli stessi pantaloni e un gaban – il poncho messicano – in lana rossa.
Seth era a metà strada adesso.
Guardava per terra, lanciando brevi occhiate ai messicani, per evitare di attirarne l’attenzione.
Poi, d’un tratto, le sentinelle gli diedero le spalle. Seth sentì tre colpi alla porta.
Stavano chiamando di nuovo l’uomo dall’interno. Aveva solo una manciata di secondi!
Scattò. Afferrò il mento dell’uomo con la camicia e gli aprì la gola.
Quello col poncho si girò sorridendo ancora per una battuta, sgranò gli occhi. Seth gli sferrò il suo sinistro più forte alle reni. L’uomo emise un gemito soffocato. La mano destra cercò di alzare il fucile.
Seth sferrò una coltellata dal basso verso l’alto. il sangue spruzzò dalla gola del messicano spinto da una forte pressione arteriosa.
La porta si aprì. Il battente era largo almeno cinque piedi. Fece rotolare alcuni ciottoli sulla sabbia.
Seth scattò verso destra mentre la testa di un uomo faceva capolino.
L’uomo si accorse del tipo con la camicia stecchito e impugnò la pistola. Seth gli sferrò un sinistro all’orecchio mandandolo lungo disteso.
C’era poco, pochissimo tempo.
Afferrò il sombrero e il gilet grigio dello rural svenuto, li indossò ed entrò nel forte.
Già qualcuno chiamava.
Vide un uomo uscire dalle ombre. Sopra la sua testa c’era una scala di legno, appoggiata al bordo del camminamento, pure di legno. L’uomo aveva una bottiglia in mano e sorrideva. Era magro e indossava un gilet gallonato.
«Pero que haces cabron asqueroso?» sputò, in spagnolo, prima di sgranare gli occhi. Seth gli si gettò addosso e lo spinse giù col suo peso. Sentì sotto le mani un corpo magro e nervoso. Il sombrero gli cadde sulla schiena. Seth sferrò una testata all’avversario. Sentì la cartilagine del naso cedere. Quello urlò. Il gringo gli mise una mano sulla bocca. il messicano gliela morse. Seth strinse i denti e gli tagliò la gola.
Sentì il sangue fluirgli tra le dita e il corpo del rural rilassarsi.
Si alzò e andò verso la scala. Da cui stava scendendo il tipo con la sigaretta.
Seth caricò a testa bassa, mentre quello cercava la pistola. La sommità del cranio del gringo affondò nello stomaco dell’altro. Il messicano fu sbilanciato e cadde all’indietro.
«Hey que pasa?» la sentinella che veniva da sud si sporse dal camminamento.
«Hey, Ramon?» chiamò.
«Que va! Creo … estar … borracho!» farfugliò Seth, rialzandosi.
«Ramon?» ripeté l’altro, affrettando il passo e impugnando il fucile.
Seth snudò la pistola di Esteban:
«Fermo!» disse. L’altro esitò.
«Fa’ una mossa e t’ammazzo. Chiama aiuto e t’ammazzo.» sussurrò Seth, arrivando al camminamento.
Il rural staccò una mano dal fucile e scosse la testa; fece un passo indietro.
Seth s’avvicinò.
«Hey!» sentì un urlo, da dietro. La sentinella sul lato nord!
Si girò per una frazione di secondo. La sentinella correva col fucile in pugno. Seth si rigirò e vide quello di prima prenderlo di mira.

Lo caricò. Sentì un’esplosione e qualcosa gli scompigliò i capelli. Spinse il messicano contro il parapetto e gli sferrò una coltellata al fianco.
Sentì un altro colpo di fucile. Una scheggia di legno si staccò dall’assito e gli graffiò il piede.
Al piano superiore della casa padronale si accesero le luci.
Seth si fece scudo col messicano ferito; l’altro non osò sparare. Seth alzò la pistola e fece fuoco. La guardia a nord scivolò all’indietro.
Il gringo gettò il messicano ferito dal parapetto. Quello urlò, agitando le braccia. Finì sul tizio al portone che si stava riprendendo dallo svenimento.
Seth si strappò la camicia e prese la stella. Cercò di far sì che fosse colpita dal riflesso lunare.
Sentì una porta aprirsi, si girò e vide tre uomini uscire dalla casa.
Altri cinque uscirono dalle costruzioni di legno lì attorno.
Uno dei tre uomini aveva la lunga sciabola di Pedro Galindez al fianco.
Pedro lo inquadrò e cercò la pistola.
Seth si mosse verso sud, lungo l’assito. E sparò. L’uomo vicino a Pedro cadde, tenendosi il petto. Il gringo spinse la leva e ricaricò l’arma.
Poi la gamba gli cedette. Seth inciampò e finì in ginocchio.
Un colpo lo mancò di qualche palmo, sbrecciando il bordo del muro.
L’uomo svenuto sulle scale si lamentò e fece per rialzarsi e impugnare la pistola. Uno stivale gli scivolò su uno dei pioli. L’uomo cadde con una gamba nel vuoto e sparò.
Il colpo risuonò alto, ma distrasse gli uomini di Galindez.
Seth usò la pistola.
Sparò al rural intrappolato sulla scala, poi sfoltì il gruppo di cinque uomini. Ne caddero tre.
I quattro superstiti – compreso Galindez – si sparpagliarono.

Seth ricaricò. Pezzi di muro gli piovvero addosso. Cercò di alzarsi. Tutto il peso era sulla gamba destra.
Un colpo lo mancò d’un soffio.
Qualcuno sparava dalla casa padronale. Dalle finestre del piano superiore.
Seth vide che ora le luci erano spente: il tiratore voleva approfittare del buio.
Tre uomini uscirono da una baracca, due da un’altra. Quel bastardo aveva un esercito.
Seth era inchiodato.




Come ad Abilene.
Avevano preso i soldi, era il momento di spartirli e Robb Shaugnessy aveva cambiato faccia e gli aveva messo contro i fratelli Masterson. Due bastardi, al pari dell’enorme irlandese ricciuto.
Gli avevano ammazzato il cavallo e lo avevano lasciato a difendersi sulle curve scabrose d’un piccolo canyon.
Aveva due colpi, proprio come ora.

Due uomini staccarono una scala dal camminamento nord e si diressero verso Seth. Il gringo impugnò il fucile, ma sentì un colpo dalla casa e tenne giù la testa.
Quelli corsero e appoggiarono la scala all’assito.
Seth allungò la mano e sparò. Sentì lo zing della pallottola che rimbalzava.
I bastardi stavano salendo!

Poi, gli giunse il rombo d’una doppietta.
Bum! Bum!
Veniva da est, dalle sue spalle.
«Desde fuera!» urlò uno degli uomini.
Benedetto Ramirez!, pensò il gringo.

... continua

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