venerdì 15 marzo 2013

L'assassino e l'invasore - racconto di fantascienza





Peyton impugnò l’ustore e fece un balzo verso il nemico. Il suo unico biglietto di ritorno, lo yacht, galleggiava sulla superficie scabrosa dell’asteroide. L’astronave nemica, invece, gli fluttuò davanti in mille pezzi, seguita dal corpo di Flora. Quel bastardo aveva ucciso Flora a tradimento: una breccia nel casco fatta dall’ustore e sua moglie era congelata a morte. Il metano liquido era uscito dal casco in tante sferette gialle.
Flora sarebbe rimasta lì come uno spaventapasseri attaccato all’asteroide, se Peyton non le avesse distrutto le suole magnetiche con l’ustore. Un gesto di misericordia, che però aveva permesso all’assassino di darsi alla fuga.



Bob Peyton aveva avuto la sventura di nascere figlio di Walter Peyton, l’inventore della propulsione superluce AA. Stanco della gloria del padre, s’era arruolato come pilota spaziale.
Il suo squadrone era sul Mare Tranquillità, quando la flotta degli invasori aveva ingaggiato la prima linea marziana. I bollettini dicevano che, nonostante fossero riusciti a distruggere Venere facilmente, gli invasori sembravano deboli di fronte all’esercito marziano. Peyton, originario della Terra, voleva portare un po’ di gloria al suo pianeta. Perciò fece i salti di gioia quando i papaveri della flotta mandarono proprio il suo squadrone a dar manforte ai marziani. Non che ce ne fosse bisogno: sembrava più che altro una manovra politica.
Ora correva sulla fascia del crepuscolo di un piccolo asteroide. Il sole era a sinistra e il buio a destra. l’invasore non poteva essere lontano. Peyton l’avrebbe preso e l’avrebbe fulminato con la pistola. Anche l’altro ne aveva una e sembrava saper bene come usarla.
Su quel piccolo asteroide, un osservatore esterno non avrebbe ben capito chi scappava da chi. Peyton ci pensò e sorrise, mentre valutava i corni di roccia per cercarsi un nascondiglio. Gli sarebbe bastato beccare l’invasore e correre sullo yacht prima che la riserva d’aria finisse.
Aveva trenta minuti.
Si accosciò dietro una roccia. Alle sue spalle, la luna era sorta e il sole stava cominciando a tramontare. Era incredibile come, anche su un asteroide piccolo come quello, ci fossero il giorno e la notte. Per un momento si sentì come il Piccolo Principe, su un pianeta minuscolo, in attesa della volpe. E la volpe era lo yacht integro.
Bob Peyton si morse il labbro e si mise in ginocchio.

Aveva visto l’assassino scappare oltre la fascia del crepuscolo, nella zona della notte. Forse era proprio dietro …
Lo vide sbucare da dietro una roccia con l’ustore in pugno. Peyton abbassò la testa e caricò. Sentì il casco premere contro lo stomaco dell’altro. Poi entrambi, lui e il nemico, finirono a terra. Peyton alzò l’ustore e sfiorò il grilletto. L’altro sbarrò gli occhi, in preda al terrore e alla sorpresa.
E disse: «No! Ti prego, non sparare!»
Peyton esitò.


Bob Peyton vide l’invasore sbucare da dietro un costone di roccia. Aveva il sole alle spalle e non era un bersaglio facile. Troppo tardi, Peyton pensò che invece lui, con la Luna a far da sfondo, risaltava benissimo.
Quel maledetto sembrava tenace, mentre il suo compagno s’era fatto beccare come un pollo. L’astronauta si rannicchiò di più e alzò l’ustore. Sentì le piastre magnetiche delle suole dell’avversario cozzare contro la superficie irregolare. I sensori auditivi del casco colsero lo scatto della sicura di un ustore. Peyton chiuse gli occhi, li riaprì, mormorò una preghiera.
L’altro era vicino.
Bob Peyton scattò come una molla. L’invasore gli si gettò addosso, caricandolo come un ariete e schiacciandolo a terra. Peyton sentì il fiato venirgli spremuto dai polmoni e vide l’invasore negli occhi.
Si ritrovò a guardare un Bob Peyton più vecchio.
E disse: «No! Ti prego, non sparare!»

«Com’è possibile?» disse Bob Peyton, l’invasore. Aveva davanti il se stesso di dieci anni prima. ricordava la missione, ricordava quand’era precipitato sull’asteroide e i due invasori che lo avevano inseguito. Ricordava di averne ucciso uno e …
«Flora.» disse, con un tremito nella voce. L’altro Bob Peyton, il giovane, ne approfittò per sferrargli un pugno allo stomaco. Peyton vecchio fu sbattuto all’indietro, mentre Peyton giovane si alzò e armeggiò con l’ustore.
«Ho ucciso mia moglie!» urlò Peyton vecchio.
«Come? Non capisco? Tu sei … me!» disse Peyton giovane.
«chissenefrega, idiota!» ruggì il vecchio, «ho ucciso Flora, capisci?»
«Flora?»
«le ho staccato le suole magnetiche e adesso galleggia su questo asteroide infame … » disse il vecchio.
«L’altro invasore?» fece il giovane, «ti sbagli! Gli ho sparato io!» disse.
Il vecchio Peyton non aveva voglia di discorsi filosofici, non ora.
L’altro, invece, sembrava ciarliero; sempre con l’ustore in pugno, disse:
«Io … vi credevo … invasori! E invece tu sei me!»
Il vecchio alzò gli occhi:
«mi sono arruolato dieci anni fa,» disse, «quando la flotta degli invasori è arrivata e ha distrutto Venere, ho messo la mia firma su quel maledetto modulo. Mi hanno spedito sulla Luna e poi sono precipitato qui.
“dopodiché mi sono offerto volontario per scovare il pianeta madre degli invasori. Avevamo distrutto la loro flotta – ricordi? – e avevamo tracciato a ritroso la via che avevano percorso. bisognava punirli.
“seguendo la rotta, grazie ai motori superluce AA, siamo arrivati, dopo dieci anni, al sistema solare degli invasori. Questo.
E, prima di accorgercene, abbiamo distrutto Venere. nel nostro comando s’è creato il caos. Voi ci avete attaccati, abbiamo risposto blandamente, sulla difensiva.
“ho accettato questa missione per aiutare un camerata che le vostre navi avevano attaccato. E Flora è venuta con me. L’ho conosciuta nel primo anno di viaggio, sai? Avresti dovuto vedere quant’è bella. Quant’era bella.
Veniva dalle lune di Saturno. Respirava metano. Ci siamo innamorati tutti delle guerriere della sua razza. Abbiamo adattato le navi, gli yacht da guerra, e le abbiamo portate con noi.
Hai mai fatto l’amore con una donna che respira metano?
Il vecchio smise di parlare e sedette sulla roccia. Aveva la pistola in grembo, la testa a ciondoloni. E un sorriso ebete.
Il giovane controllò la riserva d’aria: due minuti.
Decise di prendere la situazione in pugno:
«Ascolta … Bob … mi dispiace. Quella nave ha due posti, vero? Andiamocene di qui.»
Il vecchio scosse la testa:
«Ho ucciso Flora, ragazzo: non posso andarmene.» disse.
«Non dire …» fece Bob il giovane, «cerca nei ricordi! Saprai come finisce questa storia, no?» aggiunse.
«Muoio … e io … anzi tu … vai sullo yacht.» disse il vecchio.
«Non dirai sul serio? Papà avrà un collasso!» fece il giovane.
«Ha già te, come Flora aveva me e io l’ho uccisa. Non si può tornare indietro.» disse il vecchio.
«Ti prego, vieni con me sulla Terra. Pensaci Bob: fra poco partirò per inseguire la flotta degli invasori e … passando accanto alle lune di Saturno, conoscerò Flora!» disse il giovane, entusiasta d’aver forse trovato una via d’uscita.
Il vecchio alzò lo sguardo. Gli occhi gli s’illuminarono.
L’altro gli tese la mano.
Adagio, andarono allo yacht, parlando di Flora, della Terra e di cosa avrebbe detto papà vedendoli tornare … entrambi.
Astronavi piccole come lo yacht da guerra non avevano una camera di decompressione. Quando erano usciti, Flora e Bob avevano espulso l’aria.
Per respirare, Flora si serviva – a bordo – di una maschera con un serbatoio portatile di metano.


Il giovane si accorse che l’aria bastava per uno quand’erano già in rotta verso la Terra. Fece per dirlo all’altro, ma lo trovò semisvenuto sul seggiolino.
Imprecò, cercando qualcosa, fino a ché non vide una maschera con quello che sembrava un serbatoio d’ossigeno.
«Ecco Bob … ora attivo il respiratore … ecco … » disse, mentre faceva indossare all’altro la maschera.
Schiacciò il pulsante e vide la faccia del vecchio contrarsi.
E poi distendersi.

fine

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