martedì 26 novembre 2013

Fantasy! - racconto preludio a un articolo



l'immagine si chiama Undead Knight, è di atomhawk e la trovate qui



Re-serpente rinasci! Dea della pace, dolore predici. Dio delle tenebre, dolore predici. Tutti vivranno contenti e felici.

I
Miron tirò un undici ai dadi. «Re-serpente rinasci!» disse. «Perché… perché la reciti?» Ianuas fece un ricciolo in aria con un dito e ammiccò.
«Perché ho vinto! Ho scacciato il serpente!» Miron sferrò un pugno sul tavolo e fece tintinnare i boccali. «Oste! Birra! Offro io!» urlò, girandosi verso il bancone per guardare il taciturno Narnus.
«Perché sempre birra?» domandò Ianuas. «Bere acqua porta malattie.» disse Miron. «La birra, invece, la si bolle.»
«Sei un dottore?» chiese Ianuas. «Un alchimista.» rispose Miron, sogghignando. «Ma quella cosa che reciti… cos’è?» Ianuas aggrottò la fronte e si pulì i baffi grigi sporchi di birra.
«Una vecchia filastrocca.» Miron sogghignò e riprese in pugno i dadi d’osso. Stava per tirare, quando si avvicinò al suo interlocutore e disse: «Una profezia.»
«Maddai!» fece Ianuas, barcollando sulla sedia. «E come fa?»
«Beh… Re-serpente rinasci… uhm, poi dea della pace qualcosa… uhm, poi c’è il dio delle tenebre…»
«E tutti vivranno felici e contenti.» disse una terza voce. Miron si girò e squadrò Narnus. «E tu da quando in qua ti ricordi qualcosa?» domandò. «Beh, compare Ianuas, devi sapere che l’oste è smemorato… non si ricorda chi cavolo sia. Rammenta solo il proprio nome.»
«Già.» affermò Narnus. L’attenzione di Ianuas deviò verso quell’uomo taciturno, impegnato a versare birra con un mestolo nei boccali e a condirla con un sacchettino di spezie.
Miron ebbe una reazione strana. Batté un pugno sul tavolo e si alzò. Andò a sbraitare davanti a Narnus. Urlava così forte che a Ianuas fecero male le orecchie. Un armigero dalla faccia di faina alzò gli occhi dallo stufato e si mise a fissare Miron con i suoi piccoli occhi cattivi.

Ianuas vide goccioline di saliva saltare come pulci dalla bocca di Miron e finire sulle mani dell’oste. «Che cavolo parli a fare, eh?» sbottò Miron, contro Narnus. «Stai sempre zitto e devi parlare proprio oggi?»
La tenda d’ingresso venne scostata ed entrarono tre arcieri non-morti. Scelsero un tavolo lontano dal fuoco e posarono il loro archi contro la parete di mattoni di paglia e fango.
Miron si girò, li vide, li riconobbe come arcieri del re. «Servi quei signori morti, laggiù, e lascia stare me e il mio amico!» urlò l’alchimista a Narnus.
«Calma!» Ianuas s’era alzato a mezzo dalla sedia e faceva ondeggiare le dita inanellate, come per quietare le acque. «Compare Miron, calma!» disse.
«Oh, compare!» Miron si girò, con un’espressione contrita sul viso. «Domando il tuo perdono!»
«Torna al tavolo, te ne prego.» disse Ianuas. Miron obbedì, non prima d’aver recuperato la birra. Ondeggiando sulla gamba zoppa, si versò un po’ di birra calda sul pollice e si morse il labbro dal dolore. Inconsciamente, recitò: «Dio delle tenebre, dolore predici…» si sedette al tavolo e sorrise. «Ecco come faceva!» disse.
«Cosa?» domandò Ianuas. «La filastrocca!» disse Miron.
«Ah, beh…» Ianuas sembrava disinteressato ora. I suoi occhi erano tutti per i tre morti, al tavolo laggiù. Tenevano le facce coperte dai cappucci e indossavano delle casacche di cuoio rinforzato. Uno di loro ricambiò lo sguardo e Ianuas si sentì inchiodato da un paio d’occhi rossi come quelli d’un ratto.
Miron seguì lo sguardo di Ianuas, vide dove andava a parare, e rabbrividì. «Non sta bene fissarli, compare!» disse.
Ianuas distolse lo sguardo. «Ma… cosa mangiano?»
«Loro non mangiano. Bevono sangue di porco.» disse Miron. «Ecco, smemorino glielo sta portando, vedi?» aggiunse.
«Sangue?»
«Di porco.» Miron bevve un lungo sorso di birra. «Beh, non è solo quello… io gli faccio una pozione, a Narnus, che poi sarebbe l’oste, e lui la sversa nel sangue di porco.»
«A che serve la pozione?»
«A farli camminare, parlare, combattere. Senza, il sangue di porco non è sufficiente e questi signori qui si spengono.» spiegò Miron.
«Ne hai visti sui campi di battaglia?» domandò Miron. «Non ho mai visto neanche un campo di battaglia.» rispose Ianuas.
«Ascolta…» Miron si avvicinò, sputacchiando goccioline addosso all’interlocutore. «Parlavamo d’altro.»
Ianuas aggrottò le sopracciglia. «Del filtro d’amore?»
«Della… profezia!» disse Miron, raccogliendo i dadi e facendoli tintinnare.
«Giusto.» fece Ianuas.
«Beh… io ho qualcosa, anzi… qualcuno.» rivelò Miron. Stavolta fu Ianuas ad avvicinarsi. «Chi?»
Miron si allontanò, si appoggiò allo schienale e poi si riavvicinò. «Mio figlio.»
«Adottivo.» aggiunse. «Si chiama Talian, ha quindici anni e… beh… ha una voglia tra le scapole a forma di serpente.»
Miron si gettò contro lo schienale. Ianuas intercettò un movimento, alla sua sinistra: l’armigero aveva spostato il piatto. Dal tavolo dei non-morti, invece, tre paia di occhi rossi fissarono Ianuas e Miron.
«E che significa?» domandò Ianuas.
«Come… che?» Miron parve sconcertato. «Cosa potrebbe significare, scusa?» aggiunse.
Ianuas aprì le mani e scosse la testa.
«Beh… io credo che c’entri qualcosa con la profezia.» disse Miron.
«E come?»
«Beh, cavolo! La voglia, no?»
Ianuas parve considerare la cosa. «E dunque… che vorresti fare?»
«Bah…» Miron scrollò le spalle e fece finta di lasciarsi sfuggire il lampo che s’era acceso negli occhi dell’altro.
«Giochiamo.» disse, facendo per tirare i dadi. La mano di Ianuas si chiuse sulla sua. «Aspetta!»
«Che c’è?» Miron si finse sconcertato per quel contatto.
«Alziamo la posta!»
«Oh, beh! Se me lo dice un avvocato… beh!» Miron scoppiò in ghigno che puzzava d’aglio e birra. «Che ti giochi?»
«Ho qui una borsa piena di monete d’argento.» Ianuas slacciò un voluminoso borsello e lo buttò sul tavolo. L’armigero mandò un grugnito di sorpresa.
«Sei matto?» fece Miron, guardando prima l’armigero, poi l’oste e poi i non-morti.
«Tu cosa ti giochi?» domandò Ianuas.
«Quanti sono?»
«Parecchi! Più di quanti ne possa accumulare un alchimista di campagna in cinque anni.» fu la replica dell’avvocato.
«E va bene, per gli dei!» Miron sputacchiò, fece un sorso di birra e posò il boccale. «Mio figlio Talian! Mi gioco lui. Tanto non mi sopporta e per quella cifra non ho nient’altro.»
«Oh, beh!» stavolta fu il turno di Ianuas fingersi sorpreso. «Io non volevo… non credevo che…»
«Bah, forse hai ragione…» Miron spinse indietro la sedia. «No!» Ianuas allungò una mano per trattenerlo. «Ormai è deciso.» disse. L’alchimista fissò l’avvocato con sconcerto, borbottò qualcosa.
Poi lanciò i dadi.
E perse.
Narnus assistette a quella vita umana passare di mano in mano; vide Ianuas e Miron uscire dalla locanda e sparire nel pomeriggio buio.

II
«Questa è la mia casa.» Miron indicò una costruzione a due piani il cui piano inferiore era adibito a bottega. Delle oche pendevano dal soffitto e il pavimento era pieno di paglia, segatura e sangue.
Un ragazzo stava a un tavolo e s’affaccendava con ampolle di vetro, vasi di terracotta e un alambicco. Il ragazzo aveva un’aria cupa ed era poco sviluppato per avere quindici anni (se era lui Talian). I capelli gli ricadevano in riccioli sul collo.
«Talian» chiamò Miron. Il ragazzo alzò la testa e Ianuas vide un paio d’occhi bianchi fissare il vuoto. Era cieco! Completamente cieco!
Solo ora Ianuas s’accorse che il ragazzo riconosceva gli ingredienti da alchimista annusandoli. Annusava tutto e toccava. Quindi s’era preso carico d’un cieco adesso. Sarebbe stato meglio avere un servo non-morto, ma quelli costavano ed erano prerogativa del re, dei chierici e dei nobili. Si ricordava degli armigeri del suo ex-signore, il conte di Braonos, che mettevano una croce sulla frase “giuro di servirti per la vita e oltre la vita.”
Fu riscosso da quei pensieri. La voce di Miron tuonava: «Da oggi sei di questo signore. È un mio buon amico e si chiama Ianuas. Fa l’avvocato. Andrai con lui.»
Il ragazzo annuì. «Sì, padre.» disse. Poi si alzò e andò a raccogliere una sacca. Quando venne da Ianuas, lo fece camminando adagio, e aiutandosi con un bastone.
«Ma è a piedi nudi!» disse Ianuas. Miron si strinse nelle spalle. «Il pavimento di casa mia è caldo e confortevole.»
«Io credo che tu m’abbia fregato.» disse Ianuas. «Eh? Che dici?»
«Sì… hai perso volontariamente questo piccolo cieco.»
«Perso… volontariamente? Non pensi a come farò io per preparare le pozioni? Non pensi all’aiuto che mi dava in bottega?» sbottò Miron. «Sono disposto a ricomprarmelo! Fissa tu il prezzo!»
«No!» qualcosa si agitò nella mente di Ianuas e gli spinse a mettere le mani sulle spalle di Talian. «No. Ora è mio.» disse l’avvocato. Poi si piegò sul ragazzo. «Talian… tu hai una voglia a forma di serpente, vero?»
Gli occhi del ragazzo ondeggiarono, mentre le sue mani cercavano Ianuas.
«Rispondi!» urlò Miron. Talian annuì e si toccò una spalla. Abbracciandolo, Ianuas fece scivolare le mani sulla casacca e la spinse verso il basso. «C’è davvero!» esclamò. «Una voglia a forma di serpente!»
«Guarda gli occhi! Vedi? Gli occhi del serpente!» disse Miron, «Il due ai dadi…» mormorò, scuotendo la testa.
«Da dove vengo li chiamano “le palle del cane”.» fece Ianuas. Miron non replicò, borbottò qualcosa e agitò un braccio. «Via! Andatevene! Via…» disse, scuotendo la testa.
Ianuas rimise a posto la casacca del ragazzo e gli sfiorò i capelli con la mano. «Le scarpe!» disse a Miron.
«Compragliele!» sbottò l’alchimista.
Ianuas scosse la testa, fece una smorfia e mise una mano sulla spalla del ragazzo dicendogli poi: «Andiamo?»
Talian annuì e tese il bastone. «Stringilo, signore e guidami.» disse.
«Ma non conosci questo villaggio?» domandò Ianuas. «Nossignore. Conosco la casa.»
«Cioè tuo padre non ti ha mai fatto uscire!»
«Sissignore.»
Ianuas si girò per un momento a fissare Miron. L’alchimista scrollò le spalle e scosse la testa, poi si voltò.
L’avvocato e il ragazzo uscirono in strada. S’incamminarono lungo un sentiero solcato dalle ruote dei carri. A sinistra videro i campi dove quattro coppie di buoi tiravano un aratro. A destra, c’era una torre in costruzione e, poco più in là, il campo militare riservato agli armigeri del signore del villaggio. Ianuas vide delle ombre allenarsi a tirare d’arco. Si chiese se fossero gli arcieri non-morti.
Un cavaliere solitario e sporco passò, schizzandoli di fango e urlando di spostarsi.
«Dove andremo, signore?» domandò Talian, ad un tratto.
«Io vivo a Euna.» spiegò Ianuas. «Oh, dicono che sia una città molto bella, signore.»
«Sì, così dicono.»
Parlando, oltrepassarono i campi e il ponte d’ingresso al villaggio. Ianuas sapeva quanto fosse stupido mettersi in viaggio a un’ora così tarda, con un ragazzo cieco per di più, ma contava sul fatto d’unirsi a una carovana. Sapeva del mercante Tolmas, che da Euna faceva la spola verso i villaggi della Foresta di Sidue, e l’aveva visto ripartire proprio quella mattina. Se i suoi calcoli erano esatti, Tolmas avrebbe avuto poco vantaggio su di loro. Forse Ianuas e il ragazzo avrebbero dovuto passare una notte all’aperto, da soli, ma tant’è.
Usciti dal villaggio, lasciatisi alle spalle l’ultimo carro di buoi, Ianuas disse a Talian: «Ora cammina seguendo il suono della mia voce e dei miei passi. Non serve che ti tiri per il bastone.»
«Sissignore.» rispose il ragazzo.
«Bene. Dimmi, sei cieco dalla nascita?»
«Nossignore.»
«E… quando…?»
«Oh, fu una pozione di Miron, signore.»
«Come dici?»
«Per mia sbadataggine combinai un pasticcio mescolando degli ingredienti e… la pozione mi gettò del fumo in faccia… e divenni cieco.»
«Per gli dei! E quando è successo?» Ianuas rallentò e guardò negli occhi quello strano ragazzo.
«Oh… cinque anni fa.»
«Così avevi dieci anni.»
«Sissignore.» rispose Talian. Ianuas scosse la testa e si morse il labbro.
«Signore? Come va la guerra?» domandò il ragazzo, dopo un po’.
«La guerra?» l’avvocato avanzava adagio, su una coltre di foglie morte. Aveva staccato un ramo da un albero, lo aveva ripulito con la daga che portava alla cintura e ora lo usava come bastone da passeggio. Il legno era odoroso di resina.
«Sì! È vero che Draugas l’Usurpatore sta vincendo?» domandò Talian. Ianuas fece spallucce. «Può darsi. Anche Re Rorik si prende la sua parte di vittoria, credo.»
«Hai visto molte guerre, signore?» il ragazzo alzò la testa. C’era qualcosa di commovente in quella ricerca del contatto fra sguardi, ricerca che, per Talian, non aveva mai fine.
Il pomeriggio lasciò il posto alla sera. Adesso, quando Ianuas e Talian due parlavano, dalle loro bocche uscivano riccioli d’alito caldo.
«Le foglie sono umide e gelate.» commentò Talian. Ianuas si diede una manata sulla fronte. «Che stupido! Aspetta, avvolgo i miei codici legali con fasce di stoffa e… ecco… posso usare quelle fasce per i tuoi piedi… le appunteremo con le spille che uso per i codici… le avvolgiamo attorno ai piedi così e… che ne dici?»
«Meglio! Grazie, signore!» trillò Talian.
«Non è nulla. Sei un caro ragazzo.» disse Ianuas.
«Signore, che lavoro fai?» domandò Talian, dopo un po’.
«Oh, sono avvocato. Risolvo questioni legali.»
«E cosa sarebbero?»
«Uhm, vado in tribunale e presento delle cause… per esempio… è mai capitato che Miron facesse una pozione per qualcuno e questo qualcuno, dopo averla pagata e usata, tornasse indietro chiedendo i soldi e dicendo che la pozione non aveva funzionato?»
«Oh, certo che sì!» esclamò Talian.
«E Miron che ha fatto?»
«Oh beh… ha pugnalato il vecchio Luir e ha nascosto il cadavere.» rispose Talian con naturalezza.
Ianuas sbiancò. «Come?»
«Non l’ho visto, ma… ho sentito.» spiegò il ragazzo.
Ianuas rallentò il passo e prese a tirarsi i baffi.
«Questo cosa c’entra con l’avvocato, signore?» chiese Talian.
«Beh… l’avvocato è… uhm, è una persona che risolve la questione.» spiegò Ianuas.
«L’avvocato è… il pugnale!» Talian alzò il braccio e mimò una coltellata.
Ianuas scosse la testa, ma disse: «Sì.»
«Miron ha fatto bene… e poi io odio i vecchi… mi trattano sempre male. Voi non siete vecchio, Ianuas?»
«Io… ho beh… quarantaquattro anni.»
«Ed è vecchio?»
«N-no, non dal mio punto di vista.»
«Cos’è un punto di vista?»
«Come uno vede le cose.»
«Oh, allora io…»
«Non è proprio legato agli occhi, Talian.» disse Ianuas, umettandosi le labbra.

III
Camminarono ancora, finché non tramontò la luna. Per allora, Ianuas aveva chiaramente visto i solchi dei carri e le orme dei cavalli e dei buoi di Tolmas. Doveva essere per forza la sua carovana, perché non sapeva di altre che partissero dal villaggio.
«Ah! Sento il rumore di un cavallo!» Ianuas si bloccò e piegò la testa di lato. Il bosco mandava ombre bizzarre e il calore del giorno si levava dalla terra in forme fumose d’animali fantastici.
«Questi odori sono buonissimi.» disse Talian. «Siamo in una macchia d’abeti,» spiegò Ianuas, «Senti come odorano di resina?»
«Sì! Riconosco un poco quest’odore. Riconosco l’odore degli ippocastani, laggiù…» mormorò Talian.
L’avvocato piegò la testa. «Come… come sai che ci sono degli ippocastani laggiù?»
«Sento l’odore.» rispose il ragazzo. «Usavo spesso la loro corteccia per le pozioni del signor Miron.»
«Un momento! Fermi!» Ianuas chiuse la mano attorno al polso del ragazzo. «Viene qualcuno dalla strada.»
«Un cavallo?» azzardò Talian. «Sì… forse… è…»
Non era un cavallo, ma un grosso asino. In groppa c’era una figura enorme, coperta da un mantello di lana.
Vapori d’alito caldo si levarono dalla froge del quadrupede e dalla bocca dell’uomo.
Avanzò adagio, sulla strada, e si fermò a dieci passi dai due.
Ianuas stette a fissare il cavaliere senza dire niente. Poi, il cavaliere scese dall’asino. «Signore!» disse. «Sei Ianuas, l’avvocato?»
«Chi sei?» domandò questi, alzando un sopracciglio.
«Narnus, l’oste.» si presentò l’uomo, facendo un inchino. Narnus! Miron l’aveva trattato ingiustamente, insultandolo per nulla.
«Sei lontano dal villaggio, come mai?» domandò Ianuas. «Signore… cercavo te…»
«Beh… se posso esserti utile…»
Narnus si avvicinò e s’inginocchiò davanti all’avvocato.
«Tirati su!» disse Ianuas. «Coraggio, camminiamo. Parleremo strada facendo.»
«Sì, mio signore.» disse l’oste.
Narnus prese le briglie dell’asino e s’incamminò accanto al ragazzo e all’avvocato.
Per un po’, nessuno seppe che cosa dire. Ascoltavano il canto delle civette nascoste sugli alberi.
«Dimmi, è vero che non ricordi nulla… solo il tuo nome?» esordì, dopo un certo tempo, Ianuas.
«Sissignore. Mi portò una donna al villaggio… trentasei anni or sono.» disse l’oste.
«Interessante! E questa donna cosa disse?»
«Uhm, nulla, signore. Morì poco dopo.»
«Non c’è proprio modo per risalire alle tue origini?» chiese Ianuas. «Si sa solo che aveva l’accento della nobiltà di Eithe.» rispose Narnus.
L’avvocato strabuzzò gli occhi e si bloccò; si tirò i baffi e annuì, pensoso. Poi disse: «Il fianco sinistro! Fammi vedere il fianco sinistro, ti prego!»
Narnus ammiccò. «Mio signore?»
«Non capisci? Potresti essere il legittimo erede di Re Rorik! Possibile? Uhm, pensiamoci un attimo…» Ianuas cominciò a tirarsi i baffi e a borbottare fra sé. «Dovresti avere la cicatrice rituale… la Cicatrice del Dolore… che t’ha fatto la Dea della Fortuna alla tua nascita!» disse, ad un tratto.
«Io… beh, signore… io ho una cicatrice.» disse Narnus. «E questo è un colpo di fortuna.» mormorò l’avvocato. «Perché ho con me l’erede del Re-serpente e l’erede di Rorik!»
«L’erede del Re-serpente?» domandò Talian.
«Sì, ragazzo! Ora debbo solo tornare a Euna e studiare la profezia nei codici della biblioteca! Devo capire come funziona e come… insomma…»
«Ma che c’entriamo con la profezia?» domandò Narnus. «Credo che voi siate il modo per sconfiggere Draugas l’Usurpatore.» spiegò Ianuas, picchettandosi il labbro inferiore con le nocche.
«Noi?» Narnus si batté il petto con le dita. «Come?»
«Un ragazzo cieco e un oste smemorato, signore?» obiettò Talian.
«So che suona bizzarro, ma… comunque, fammi vedere la cicatrice. Devo essere sicuro, sai…» disse Ianuas all’oste. Narnus esitò, ma poi alzò un lembo del mantello.
«Ti capisco. Fa freddo. Si gela.» disse l’avvocato.
Poi, la notte fu spaccata da un urlo cavernoso. Dalla strada si udì un rumore di zoccoli.
«Arriva qualcuno!» disse Talian, spaventato.
«Avvocato!» un cavaliere apparve dal nulla: era magro, senza mantello e sporco di fango. Sembrava quello che aveva urlato a Ianuas e al ragazzo.
Due occhi rossi brillarono al buio. «Un morto!» strillò Ianuas, allargando le braccia. Il cavaliere spinse il cavallo al trotto.
Narnus indietreggiò. Talian lasciò il bastone e si gettò a terra.
«Che vuoi, creatura immonda?» urlò Ianuas, agitando il suo ramo d’albero.
Il cavaliere si avvicinò e smontò di sella. Le sue scarpe affondarono nel fango. Sguainò la spada. Il viso spuntava, marmoreo e smorto, sotto l’elmo di cuoio.
«Creatura… immonda?» disse, alzando un sopracciglio.
«Chi sei? Chi ti manda?» domandò Ianuas. Il cavaliere alzò la spada. Ianuas agitò il bastone. «Non farai del male a questo ragazzo!» disse.
Talian, che era in ginocchio, nel fango, si scosse e si alzò. Con la coda dell’occhio, Ianuas vide il ragazzo tremare. Si girò: Talian emanava uno strano fulgore dalle iridi cieche. Ecco! La prova! L’erede del Re-serpente!
L’avvocato alzò le braccia. «Compiti, profezia!» disse.
Il morto gli diede uno spintone e lo buttò a terra, deflesse la palla di fuoco di Talian con la spada, poi uccise il ragazzo, trapassandogli la gabbia toracica. Talian sboccò sangue e s’afflosciò nel fango.
«Maledetto!» urlò Ianuas al non-morto. Dietro di lui, Narnus alzò il mantello e sguainò una delle due daghe che aveva alla cintura.
Il cavaliere ruotò il polso e la spada fendette l’aria.
Narnus si piegò in avanti e fece un passo a destra. «L’ho imbevuta d’infuso di mandragola.» disse, stringendo i denti.
«Letale per noi non-morti.» osservò il cavaliere. «Ironico, non credi?» disse Narnus.
«L’altra daga invece? Era per questo scemo, uh?» domandò il non-morto, indicando per un attimo Ianuas con il viso.
L’avvocato sgranò gli occhi. «Che succede? Che dici?»
«Non capisci chi sono questi due?» domandò il cavaliere. «Ti ha fatto vedere la cicatrice?»
«Eh?»
«Sei rimbambito? Fino a prova contraria sono io quello col cervello mangiato dai vermi!» disse il cavaliere. «Narnus non ti ha fatto vedere la cicatrice perché non ce l’ha!»
«N-non è… l’erede di… Rorik?» domandò Ianuas.
«Lui è l’erede di Rorik tanto quanto tu sei un furbo.» il cavaliere fece una finta e Narnus alzò la guardia.
«Ma… il ragazzo…?» domandò Ianuas. «Chi? L’erede del Re-serpente? Ma sei scemo?» sbottò il morto. «Hai creduto alla voglia finta e alla profezia?»
«Beh… io…»
«Quel ladro di Miron se ne inventa una al giorno di profezie e frega gli stranieri sprovveduti e pieni di soldi come te!» sibilò il morto.
Narnus fece una finta, il cavaliere si spostò. L’oste affondò la daga. La lama scivolò sul bracciale di cuoio del non-morto. Poi la spada scese in diagonale e trovò la tibia dell’oste. Si udì uno schianto e Narnus cadde, cominciando a urlare.
Il cavaliere abbassò la spada. «Rotolati nel fango!» gridò. «Brutto bastardo criminale!»
«Non-morto schifoso!» ringhiò Narnus, fra gli spasmi di dolore.
«Sì, sì, va bene.» il cavaliere leccò la lama della spada, prima di rinfoderarla. Ianuas lo guardò inginocchiarsi, una forma sporca, quasi scheletrica, coperta da una logora armatura di cuoio e acciaio. La mascella del non-morto si spalancò, i canini affondarono nel collo di Narnus. Il cavaliere bevve fino a che l’oste non divenne pallido e smunto, fino a che il cuore dell’oste non si fermò.
«L’hai ucciso!» urlò Ianuas.
«Era un criminale e io sono un uomo del re. Secondo gli editti di Rorik, posso bere il sangue di un colpevole. Non pretendo un ringraziamento per averti salvato la vita.» il cavaliere si alzò e risalì in sella. Indicò la strada. «La carovana di Tolmas è in quella direzione, a un paio d’ore di cammino. Ti consiglio di raggiungerla. Usa l’asino. Consideralo una confisca ai delinquenti.»
«Ma… e il fuoco negli occhi del ragazzo? Io… non… capisco…» balbettò Ianuas.
«Quel bastardo era una specie di mago,» disse il cavaliere, tirando le briglie, «Doveva avere sangue dei fey neri.»
«Fey neri…» mormorò Ianuas.
«Quella razza di antichi spiriti dei boschi. Solo loro usavano la magia. La sai la filastrocca, no? “I fey neri, eternamente giovani…”» disse il non-morto.
«Sangue di… fey neri…» biascicò Ianuas. «Eternamente giovani…» guardò il cadavere di Talian. Si chiese se il ragazzo cieco di quindici anni fosse davvero un ragazzo e davvero cieco.
«Aveva visto… gli ippocastani…» sussurrò.
«Ah, vedi che non era neanche cieco?»
«Già… ma dove vai ora, cavaliere?»
«Ah, adesso ho guadagnato lo status di cavaliere ai tuoi occhi? Beh, avvocato, vado al villaggio per tirare Miron per le orecchie.»
«Beh, io non so…»
«Come ringraziarmi e non fa niente. Vengo pagato sei scellini al giorno dal re per fare questo lavoro.»
«Il re paga i…»
«Non-morti? Quando si ricorda.» sulle labbra del cavaliere apparve qualcosa di simile a un orrendo sorriso, poi gli speroni affondarono nei fianchi e il cavallo partì verso il villaggio.
Ianuas rimase solo, con i cadaveri e una lezione da imparare.

fine

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