giovedì 5 dicembre 2013

U.S. Marshal - un altro tipo di fantasy - 2



I navajo chiamavano quel posto “capo destino” nella loro lingua. Dicevano che, anticamente, lì c’era un grande mare e che questo mare era stato prosciugato da un potente sciamano.
«Probabilmente Otho l’ha scelto apposta.» mormorò.
L’ottica della Longbow gli mostrò tre uomini di Conroy armati di fucili mitragliatori. Scaricavano borse di tela nere ai piedi dei maghi del Sinodo. Conroy aveva le mani contro i fianchi e sorrideva. Gli occhi erano coperti da un paio di lenti a specchio. Alla cintura aveva una pistola… e un lungo pugnale dalla lama ricurva e dal manico in osso.
Poi, d’un tratto, capì che qualcosa non quadrava.
C’entrano le ombre…, pensò.
Gli uomini del Sinodo erano cinque, ossia, cinque ombre. Gli uomini di Conroy erano tre, più l’agente della CIA, quattro. Quattro ombre.
«Ce ne sono dieci!» mormorò. Davanti a quella di Conroy ce n’era una che agitava le braccia.
Quel bastardo è invisibile!, pensò. Otho c’era, eccome! Solo che s’era reso invisibile con un incantesimo. Conroy sembrava vederlo benissimo. Forse quegli occhiali…
Dovevano avere una magia rivela-invisibile o qualcosa del genere.
Se fosse riuscito a beccarli entrambi… Burt tirò su col naso, poi fece scivolare la Longbow nella tasca.
Strisciò, arretrando, i sassi d’origine vulcanica che gli scricchiolavano sotto le punte degli stivali. Ted, come sempre, lo seguì.
Scese giù dal canyon, saltando di roccia in roccia. La Crown Victoria era lì: un grosso insetto nero, corazzato, sporco di terra.

Burt afferrò la stella dalla tasca e se la mise sul bavero del cappotto. Andò alla macchina e salì a bordo.
Accese il computer della polizia e toccò lo schermo a cristalli liquidi per richiamare il menù degli incantesimi. Contemplò “invisibilità” su un menù ad albero. Poi si ritrovò addosso gli occhi da zombi di Ted. Sbuffò e tolse il dito dallo schermo. «Hai ragione… l’invisibilità non serve. Solleveremmo tanta terra che ci vedrebbero a miglia di distanza.»
Si passò la mano sul mento. Sulla plancia, a separare i due sedili, c’era l’alloggiamento delle armi: comprendeva la pistola di Ted, la Colt Government di Burt e un Remington a canne mozze. Burt prese il Remington e ne controllò il meccanismo.
Prima di chiudere lo sportello, si piegò e raccolse un po’ di terra da fuori. Fece scivolare la terra in un analizzatore di campioni installato sul cruscotto. L’analizzatore di campioni lanciò sulla terra un incantesimo di psicometria. Sul display vennero fuori delle informazioni.
Capo Destino era stato teatro di una grande battaglia nei primi anni del Merging. Gli umani e le creature del Mondo Fantastico si erano scontrati a suon di fucili automatici e incantesimi.
Il canyon stesso sorgeva in cima a un tappeto di ossa.
Burt sbuffò e tamburellò sul volante.
«Un po’ di silenzio ci potrebbe far comodo.» disse, richiamando il menù e selezionando l’incantesimo “silenzio”. Ogni rumore attorno alla Crown Victoria si spense.
Burt inserì la retromarcia, fece manovra e uscì dal canyon.
Non aveva un piano preciso.

...continua

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