martedì 4 febbraio 2014

Deadwood, 1885 - racconto western

un bel disegno di TheGeef che rappresenta Al Swearengen, interpretato dall'attore Ian McShane nella fiction "Deadwood". Trovate l'originale qui.



«Gesù Cristo, Percy! C’è un uomo qui!» le urla di Caradog Pritcher svegliarono il vicesceriffo Percy Withmore e gli fecero impugnare la pistola. Caradog era un duro minatore gallese: non avrebbe mai urlato senza motivo, non a quel modo.
Percy scrutò la cella alla luce della sua lampada ad olio. «Signor Pritcher?» chiamò, alzandosi.
Sentì qualcuno che mugugnava qualcosa e si allarmò. «Signor Pritcher!» ripeté.
«Percy, brutto idiota! Sbrigati e apri la cella.»
Il sospetto si fece strada nel cervello del vice, mentre la lampada sgranocchiava le ombre.
«Signor Pritcher, non mi prenda in giro.» azzardò Percy. «C’è un uomo, ti dico!» sbraitò l’altro. «Qui, legato e imbavagliato, davanti a me.» aggiunse.
«E prima non c’era?» domandò il vice. «Cristo Santo, Percy Withmore! Fammi uscire.» disse il gallese.
Ora, il vicesceriffo si trovava davanti alla cella. La luce si posò sopra un uomo seduto su una sedia, legato mani e piedi e imbavagliato. Un uomo vestito in maniera strana, con una specie di tuta da minatore completamente arancione.
«Un negro.» disse Percy, guardando il cranio lucido e scuro. L’uomo aveva gli occhi stretti per via della luce e mugugnava qualcosa.
«Mi credi adesso?» domandò Caradog. Percy deglutì e una goccia di sudore gli scivolò fra i peli della barba. «Sarà meglio chiamare lo sceriffo.» disse.
«Ehi, bastardo! Non mi lasciare con questo tizio! È apparso dal nulla, ti dico.» sbraitò il gallese.
Ma Percy Withmore si precipitò fuori, con una mano sul cappello e la lampada in pugno gridando: «Sceriffo!»


Seth Bullock arrivò in ufficio dopo dieci minuti e una tazza di caffè fumante. Fece tintinnare gli speroni, muovendosi adagio, sul marciapiede di legno.
Sfregò un fiammifero contro la suola dello stivale e si accese una sigaretta. «Beh?»
«Percy, è meglio che sia una cosa seria.» intervenne Mick Withmore, vicesceriffo e fratello di Percy, lì con Bullock.
«Ehi!» Caradog chiamò dalla cella e tese un foglio di carta allo sceriffo.
«Da’ qua.» Bullock strappò il foglio dalle mani del gallese, scrollò la cenere e lesse:
«“Quest’uomo, Ethan Farnum, è colpevole di omicidio di primo grado, con sentenza della corte suprema del Sud Dakota del 15 giugno 2085. Firmato giudice Owen T. Pritcher”»
Bullock girò il foglio. «C’è una specie di carta appiccicosa qua dietro.» disse, notando una striscia trasparente agganciata al messaggio.
«Stava su con quello.» spiegò Caradog, indicando il foglio.
«M-ma che vuol dire?» balbettò Percy. «Se è uno scherzo, ti riempio di botte!» disse Mick al fratello. «N-nessuno s-scherzo.» il Withmore più giovane mise le mani avanti e scosse la testa.
Bullock valutò Caradog. «Lei che mi dice?»
Il gallese fece spallucce. «Riposavo sulla branda, quando paf! È apparso dal nulla.» spiegò.
Lo sceriffo alzò un sopracciglio. «2085.» disse.
«È una data?» domandò Percy. Bullock fece un tiro e soffiò via il fumo. «Sembrerebbe.» disse.
«Ma è fra duecent’anni!» sghignazzò Caradog.
Lo sceriffo diede il foglio a Mick, si girò e andò a prendere le chiavi, tornò e aprì la cella. I due Withmore spianarono le pistole.
«Via quei ferri, ragazzi!» ordinò lo sceriffo. «S-sì signore.» balbettò e obbedì Percy. Mick mise via la sua Colt senza fiatare.
Bullock diede uno sguardo al gallese e gli fece un cenno. «Il bavaglio.» disse.
«Oh, sceriffo, non crederà che io…»
«Il bavaglio, signor Pritcher.» ripeté lo sceriffo. Caradog sospirò e si avvicinò al nero. «Quella specie di roba lucida e liscia,» disse. «Ce l’ha anche sulla bocca, come bavaglio.»
Lo sceriffo si avvicinò e scostò il gallese, guardò negli occhi l’altro uomo e lo sentì mugugnare. Sfiorò coi polpastrelli l’estremità del “bavaglio” e toccò la pelle sudata dell’uomo. Con un’unghia sporca, agganciò un piccolo lembo della striscia e tirò.
«Ahi!» un urlo. L’uomo aveva la bocca libera adesso. Il bavaglio gli pendeva dall’altra guancia, ancora attaccato.
Bullock fece un tiro e scrollò la cenere.
«Ethan Farnum, uh?» disse.
L’altro gli diede un’occhiata. «E tu chi sei, Clint Eastwood?»
«Seth Bullock, sceriffo.» spiegò Bullock. «Da quel che leggo, sei un omicida.» aggiunse.
Farnum sogghignò e scosse la testa. «Quel fottuto giudice ce l’ha coi fratelli.» disse.
«Non usiamo quel tipo di linguaggio qui, ragazzo.» disse lo sceriffo.
«Siete solo un branco di bianchi ignoranti.» commentò Farnum. «Ehi! Attento a come parli.» sbraitò Mick, sfiorando il calcio della pistola. A Bullock bastò alzare due dita. Mick tolse la mano dall’arma.
«Quindi affermi che questo giudice, Owen T. Pritcher, ti abbia condannato per omicidio.» disse lo sceriffo.
«Già, e mi ha spedito nel passato.» mormorò Farnum, aggiungendo “Cristo Santo”.
«Il Figlio di Dio lo nominiamo solo in chiesa.» disse Bullock. «E non mi piace sulla bocca di un assassino.» aggiunse.
Farnum non rispose.
«Sceriffo! Che facciamo?» domandò Percy. «Già!» intervenne Caradog. Bullock, senza guardarli, disse: «Lei se ne torna in cella, signor Pritcher, nell’altra cella… quanto a Percy, sarà lui a eseguire il mio ordine.»
Nessuno fiatò.
Percy prelevò il gallese e lo fece uscire di cella – sotto l’egida della pistola di Mick – per metterlo in quella accanto e chiudere a chiave.
«Mick, chiama il signor EB.» disse Bullock. Mick Withman annuì e infilò la porta.

immagine originale qui.
Ethan Bennet “EB” Farnum, quarant’anni, bianco, era il proprietario dell’emporio e il direttore del Grand Central Hotel.
Entrò nell’ufficio con un sigaro in bocca, la bombetta e tanta rabbia in corpo. «Dico, Bullock! È ammattito? Svegliarmi a quest’ora!»
«Lo vede quell’uomo?» tagliò corto lo sceriffo. EB sbuffò, si avvicinò, strizzò gli occhi. «Quello con la divisa arancione?»
«Proprio lui.»
«Sì, e allora?» domandò EB. Lo sceriffo gli porse il foglio bianco.
EB glielo strappò di mano e cominciò a leggere. La sua espressione divenne da rabbiosa a stupefatta e, ancora, a impaurita. «Che roba è?»
«A lei cosa sembra?» domandò Bullock, indicando il foglio. «Una stupidaggine, ecco che cosa!» sbraitò EB, facendo ondeggiare il documento.
Entrò un uomo. Era alto, magro, e indossava un gilet nero e occhiali a pince-nez. Aveva un taccuino e una matita in pugno.
«Signori, buonasera.» disse. Bullock si toccò la tesa del cappello.
«Ah! Signor Merrick, giusto lei!» disse EB, battendosi le mani sui fianchi. «Signor Farnum.» disse Merrick.
«Ho sentito un certo trambusto e sono venuto a vedere.» aggiunse.
«C’è una specie di scherzo in atto.» cominciò EB. «Lo sceriffo mi ha consegnato questo.» aggiunse, mostrando il foglio.
«Potrebbe saltarci fuori un buon articolo, Merrick.» intervenne Bullock.
Il giornalista prese il foglio e lesse, alzò un sopracciglio e disse: «15 giugno 2085.»
«Duecento anni.» mormorò Caradog, dal suo cantuccio.
«E Cristo! Liberatemi!» sbraitò il Farnum di colore. Merrick scrisse sul taccuino.
«Non sarebbe meglio avvertire il sindaco?» domandò.
«Il sindaco è già qui.» disse una voce. Baffi spioventi, giacca, gilet e cravattino, Sol Star entrò e salutò i presenti.
«Il signor Withman mi parlava di un qualche guaio.» disse, indicando Mick, alle sue spalle.
EB si girò e fece una smorfia. «Buonasera, signor sindaco.» disse. «Dovremmo dire “buongiorno”, dato che è quasi l’alba.» replicò Star.
«Seth?» chiamò, guardando Bullock. «Beh, Percy era di guardia, quando ha sentito il signor Pritcher urlare. È andato a vedere e ha scoperto quest’uomo, legato e imbavagliato. Il signor Pritcher dice che è apparso dal nulla.»
«Apparso dal nulla?» Star alzò un sopracciglio e si avvicinò alle sbarre. Farnum era lì, a testa bassa, in silenzio.
«Cazzo! Mi volete liberare!» urlò.
«Calma, figliolo.»
«Calma! Come faccio a stare calmo? Sono circondato da un branco di bifolchi usciti da una pellicola western.» disse Farnum.
«Di che p-pellicola parla, signor sindaco? N-non c’è nessuna pellicola.» intervenne Percy, guardandosi attorno.
«Se non vi dispiace,» disse Merrick. «Vorrei sentire la sua storia.»
«Ve l’ho già raccontata!» sbraitò Farnum. «Non a me.» disse il giornalista, scrollando le spalle.
Il nero fece roteare gli occhi. «Prima liberatemi.»
«Da dove arrivi, figliolo?» domandò Star.
«Piantala di chiamarmi “figliolo”.»
«Il signor Ethan Farnum è colpevole di omicidio, secondo quanto scritto su questo documento.» spiegò Bullock, porgendo il foglio al sindaco.
«“…corte suprema del Sud Dakota del 15 giugno 2085. Firmato giudice Owen T. Pritcher”.» lesse Star.
«Il tuo giudice è un ignorante, negro.» disse Mick. «Il Sud Dakota non esiste.»
«Forse esiste nel 2085.» azzardò Caradog.
«Pritcher potrebbe aver ragione.» disse Merrick.
«Signori!» disse Star. «Deduco che stiamo prendendo in seria considerazione che quest’uomo venga dal futuro.»
«Duecent’anni!» precisò il gallese.
«Percy, non ce l’hai messo tu, vero?» chiese Mick, guardando il fratello. «I-io n-no.» disse Percy.
«Il foglio dice che è un assassino.» spiegò Bullock.
«Ethan Farnum, come il nostro ex-sindaco.» commentò Merrick. «Cosa vuol dire?» sbraitò EB.
«Liberatemi!» disse il nero.
«Che proponi di fare, Seth?» domandò Star. Lo sceriffo alzò un sopracciglio. «Lo sleghiamo e gli diamo da mangiare,» disse. «Poi, parlerà.»

Uova, pancetta e fagioli. Farnum mangiava, aiutandosi con un cucchiaio, direttamente dalla padella. Seth Bullock era in cella con lui, in piedi, e fumava. Si era slacciato il cinturone e lo aveva lasciato sul tavolo.
«Ti mandano indietro.» disse Farnum, ingoiando una striscia di pancetta e ruttando.
«Indietro qui?» domandò lo sceriffo. L’altro fece spallucce. «Non so, quel che si sa è che ti mandano indietro, ma quanto indietro… beh.» Farnum scosse la testa e ingoiò un’altra cucchiaiata.
«Chi hai ucciso?» domandò Bullock, facendo un tiro.
L’altro scrollò le spalle. «Nessuno, amico. Mi vuoi fregare?»
Lo sceriffo alzò un sopracciglio. Il nero si fermò, sbatté gli occhi. «Beh, ti dirò una cosa… tra i fratelli circola una voce, certo, alcuni dicono che ti rimandino indietro alla guerra del Trentanove.»
«Non c’è stata guerra nel 1839.» intervenne Mick, sicuro.
«Brutto idiota, parlo di quella del 2039.» disse Farnum, guardando il vicesceriffo.
Merrick scrisse, Star alzò le sopracciglia. «Una guerra…» mormorò Caradog.
«Ce ne sono state molte.» intervenne Bullock, gettando la cicca.
«Tutte fatte dai bianchi.» disse Farnum.
«Ma è ridicolo! Stiamo ad ascoltare questo ragazzo e le sue scempiaggini.» s’intromise EB, agitando le braccia.
Il nero alzò un sopracciglio e indicò l’ex-sindaco col cucchiaio. «Perché quel tipo si scalda tanto?»
«Beh,» sogghignò Bullock. «Hai davanti a te il signor Ethan Bennet Farnum, direttore del Gran Central Hotel di Deadwood.»
«Cristo! Un bianco che ha il mio nome.» commentò il nero, prima di riprendere a mangiare.
«Parlavi di una voce.» lo incalzò lo sceriffo.
«Sì, amico. Beh, dicono che ti rimandino sul luogo del delitto, al posto dell’assassinato. Dicono che il te del passato spari al te del futuro, capisci?» spiegò Farnum.
Bullock rispose con uno sbuffo di sigaretta.
«Questo negro è ubriaco.» intervenne EB.
«Ehi, dico! Piantala di chiamarmi “negro”, okay?»
«Beh, come dovrei chiamarti, ragazzo?»
«Negro non si usa più,» disse Farnum. «Ora siamo “colorati”, “fratelli”, “gente che ce l’ha lungo” eccetera.»
EB scosse la testa.
«Ma per te, io sono il signor Farnum.» disse il nero, indicando EB col cucchiaio. «E, per inciso, il Sud Dakota esiste.»
«A casa tua, forse. Qui siamo nel territorio del Dakota.» disse EB.
«Uhm!» Farnum masticò adagio e si pulì la bocca col dorso della mano, si girò verso lo sceriffo e sorrise. «Allora non potete uccidermi.» disse.
«E come sarebbe?» domandò il sindaco Star.
«Beh, questo non è il Sud Dakota, non giuridicamente.» spiegò Farnum. «E che ne sa un ragazzo, di legge?» sbottò EB.
«Due anni nel braccio della morte, fratello, e impari molte cose. Mi sono laureato e ne so più di tutti voi messi insieme… di legge.»
«Cristo! Due anni.» commentò Caradog.
«P-perché d-due anni?» chiese Percy. «Già, qui gli assassini li impicchiamo subito.» intervenne Mick.
«Ma io non sono un assassino. Avete solo un foglio con qualche parola al computer e una firma che potrebbe anche non essere quella del giudice Pritcher e, se anche fosse, il giudice che ha firmato questo documento esercita su uno stato americano che non nascerà che nel 1889.» spiegò Farnum.
«Quattro anni.» commentò Caradog.
«Diverremo uno stato fra quattro anni!» esclamò EB. Merrick accolse la cosa con un’alzata di sopracciglio.
«Mi domando chi sarà il governatore.» aggiunse.

Al Swearengen uscì dal suo Gem Variety Theatre a mattino inoltrato e con un sigaro in bocca. Aveva i capelli neri, lunghi fino alle spalle, e un pizzetto da diavolo. I suoi occhi erano azzurri e crudeli.
Se ne stette un po’ sul marciapiede del Gem, a osservare la città al lavoro.
EB era già fuori dal suo hotel (il Grand Central e il Gem si trovavano uno di fronte all’altro) e stava comprando una copia del Pioneer.
Al lo salutò con un cenno. Un carro passò su Main Street, sollevando polvere.
«Ragazzo!» Al chiamò lo strillone. «Volete il giornale, signor Swearengen?» disse questi.
Il padrone del Gem sogghignò e cavò fuori un dollaro dalla tasca, lanciò la moneta in aria, con un movimento del pollice, e la riafferrò, prima di darla al ragazzo.
«Grazie, signore. Ecco il giornale.»
Al prese il Pioneer e cominciò a leggere. I suoi uomini gli avevano parlato di un fatto successo alla prigione, la notte precedente, e voleva saperne di più da Merrick. Non impiegò molto a trovare un articolo che parlava di un certo “Ethan Farnum, venuto dal futuro” ospite dello sceriffo.
Al sogghignò e diede uno sguardo al suo dirimpettaio. «Ehi, EB. Quel negro è figlio tuo?» domandò, prima di mettersi a ridere.
«Non tirare la corda, Swearengen.» sbottò EB, infilando i pollici nella cintura.
«Che diavolo. Ti manca il senso dell’umorismo! Vieni al Gem, t’offro un whisky.»
«Alle dieci di mattina?» chiese EB, scuotendo la testa.
«Da quando fai parte delle Sorelle della Temperanza, Farnum?»
Due uomini, alle spalle di Al, scoppiarono a ridere.
«Di’ ai tuoi scagnozzi di controllarsi.» ribatté EB. Al si girò e fulminò la coppia con lo sguardo, poi tornò a osservare la strada, piegò il giornale e se lo mise in tasca.
C’era un viavai di gente dalle Black Hills: Deadwood era piena.
Main e Liberty Street tagliavano in quattro la città, da nord a sud la prima e da est a ovest la seconda.
L’ufficio dello sceriffo e il municipio si trovavano al margine orientale di Deadwood, all’angolo fra Liberty e Whitewood Avenue, di fronte al barbiere.
Al s’incamminò adagio, sfumacchiando, ed entrò dal barbiere.
«Signor Swearengen.» lo salutò questi. «Barba e capelli, Ralph.» disse Al. Il barbiere lo fece accomodare subito e gli mise un bavaglio pulito.
«Solito?» domandò. Al annuì. Con la coda dell’occhio, vide Bullock fuori dal suo ufficio, intento a fumare una sigaretta.
Lo salutò. Lo sceriffo si toccò la tesa del cappello.
«Che mi dici del negro, Ralph?» domandò Al, prima che l’altro lo insaponasse. «Beh, dicono sia arrivato dal futuro. Che il diavolo mi porti!»
«Dal futuro, eh?» Al ridacchiò. «Sissignore, signor Swearengen. L’ha visto Percy Withmore spuntare dal nulla.»
«E dove?»
«Uh, nella cella del vecchio Caradog Pritcher.» disse Ralph.
«C’era Pritcher? Quel vecchio alza troppo il gomito.» commentò Al.
«Litiga spesso coi Tinwater.» disse il barbiere, intingendo il pennello nel sapone. «Sam e Kate. Bravi ragazzi.» dichiarò Al. «Eh, di’… questo negro si può vedere?» aggiunse.
«Beh, signor Swearengen, lo sceriffo lo tiene ben nascosto.»
Il padrone del Gem accolse quella frase con un sorriso e si lasciò insaponare.

Quando raggiunse l’ufficio dello sceriffo, Al trovò due persone oltre a Bullock: una era il reverendo Horace Smith e l’altra, la maestra di scuola, signorina Marian Hargrove.
«Miss Hargrove, reverendo.» salutò.
«Buongiorno, signor Swearengen.» disse Smith. Marian, invece, si limitò a squadrare Al e a salutarlo con un rapido cenno del capo.
«Mi aspettavo di vederla, Al.» intervenne Bullock.
«Sceriffo.» salutò il padrone del Gem. «Si dice che lei ospiti il figlio del nostro ex-sindaco.»
Bullock sorrise.
«Quell’uomo è un segno di Dio, Swearengen!» sbottò Marian Hargrove, indicando una delle tre celle.
«Un assassino?» Al fece un ghigno.
«Le voci corrono.» disse lo sceriffo. Al fece spallucce. «Merrick fa il suo lavoro, no?»
«Egli è venuto qui dal futuro e non può essere che opera di Dio, Swearengen.» disse Marian.
«O, piuttosto, della scienza, non crede, miss?» Al infilò il pollice della sinistra nella cintura.
«Lei che ne dice, vecchio gallese?» domandò, guardando una delle celle.
Caradog rispose in un tono gracchiante. «Dico che questo ragazzo mangia molto meglio di me. Ieri lo sceriffo gli ha dato uova, pancetta e fagioli.»
«La voce del contribuente!» Al allargò le braccia e sorrise. «E tu che dici, negro?» domandò a Farnum.
«Che sono stufo di sentirmi chiamare così.» rispose questi.
«Perché, come li chiamano i negri nel 2085? Forse hanno preso il posto dei bianchi? C’è stata una rivoluzione?» Al accompagnò ogni frase con un movimento del sigaro e un sorriso.
«Ah, è tempo perso con voi.» disse Farnum. «Dov’è il mio avvocato?»
«Il signore ha chiesto un avvocato?» domandò Al.
«Così pare.» rispose Bullock.
«Dovete liberarmi.» insistette il nero. «E su che basi, signor Farnum?» domandò Al.
«È stato condannato dalla corte suprema del Sud Dakota e, siccome non siamo in Sud Dakota, anzi, il Sud Dakota non esiste, dovremmo liberarlo e considerare nulla la condanna.» spiegò Bullock.
Il padrone del Gem aprì le braccia e sorrise. «Più facile di così.»

L’avvocato in questione era Ken Monahan, di Deadwood. Il suo ufficio si trovava accanto a quello dello sceriffo e di fronte alla macelleria di Liberty Street.
Ethan Farnum ci venne portato a mezzogiorno, sotto scorta dei Withmore.
Monahan era un irlandese giovane, magro, dall’incarnato chiaro, i capelli folti, biondicci e un paio di favoriti.
Salutò Farnum, con estrema cortesia, allungando la mano, chinandosi in avanti e chiamandolo “signore”.
Si fece ripetere la storia della comparsa dell’uomo da Percy, quindi chiamò Caradog Pritcher, che gli fu portato, da Mick, in catene. Ascoltò Pritcher, annuì e si grattò il mento.
Per ultimi, esaminò gli oggetti trovati indosso al prigioniero, ossia il “bavaglio”, la pellicola collosa sul retro del foglio, il foglio stesso e le strane manette con cui Farnum era legato.
«Che materiale è questo, signor Farnum?» domandò.
«Plastica.» disse il nero. «E quello è nastro adesivo.»
«Pla-sti-ca.» scandì Monahan, prendendo nota su un foglio.
«E na-stro a-de-si-vo.» disse Farnum, ridacchiando. L’avvocato annuì e, serio, scrisse.
«Dunque, lei dice che la condanna non sussiste per via della questione del Sud Dakota…»
«Ho una laurea in legge. So quel che dico.» fece il nero.
«Sa anche, però, che l’omicidio di primo grado è il più grave del nostro ordinamento.» ribatté Monahan.
«Ma non ho commesso alcun omicidio, né di primo, né di secondo grado, né volontario, né involontario.»
«Certo, signor Farnum.»
«Ehi, non mi prenda per il culo, avvocato.» sbottò il nero, sporgendosi sul tavolo. «State detenendo un uomo innocente contro la sua volontà. Potrei farvi causa… e vincerla.» aggiunse.
Monahan rimase in silenzio, giocherellò con la matita e annuì.

Percy dovette rimanere nell’ufficio di Monahan, mentre Mick tornò dallo sceriffo, portandosi dietro Caradog.
L’avvocato, rimasto solo con Farnum, indagò sul mondo del futuro.
«… le automobili… carri che camminano senza cavalli.» mormorò, togliendosi gli occhiali e pinzandosi la radice del naso.
«Già, le automobili, gli aerei, la tivù via cavo, i telefoni cellulari… e il Sud Dakota.» il nero si appoggiò allo schienale e sorrise.
«Ascolti, voglio dirle una cosa: vi conviene lasciarmi libero e basta. Se fate uscire la notizia che un uomo è arrivato dal futuro, e qualcuno vi crede, avrete una visita del governo e il governo interferirà coi vostri affari. Se, invece, manteneste tutto a livello locale, io potrei tornarvi utile. Ci pensi, signor Monahan.»
«Utile?» domandò l’avvocato, sgranando gli occhi.
Farnum annuì e disse: «Plastica, nastro adesivo, automobili…»
Bussarono. «Avanti!» disse Monahan. Sulla porta c’era Bullock, con una sigaretta in bocca e un fiammifero in mano.
«Sceriffo.» lo salutò Farnum. Bullock non rispose, sfregò il cerino sotto lo stivale, mise le mani a coppa e accese la sigaretta. Buttò il cerino.
«Oh, sceriffo, buongiorno.» disse l’avvocato.
«Il sole è già sceso, signor Monahan.» disse Bullock.
«Davvero bizzarro! Non mi sono accorto. Ora che ci penso, il mio stomaco brontola e anche il suo, immagino, signor Farnum.»
«Altroché.» disse il nero.
«Le farò portare qualcosa dal ristorante.» disse Bullock.
«Non è necessario.» disse Monahan. «Uhm, sceriffo, si sieda, la prego.» aggiunse.

Rimasero a parlare, al lume della lampada, mentre fuori la città s’addormentava piano piano. Passarono carri, si udì il rumore della pompa dell’acqua, delle porte dei saloon e di cavalieri solitari.
Fu solo al preludio dell’alba che Ethan Farnum uscì dall’ufficio dell’avvocato Monahan come uomo libero.
E trovò ad accoglierlo Al Swearengen.
«Allora, figliolo, come ci si sente?»
«Chiamami ancora “figliolo” e ti spacco quel muso da bianco.» disse Farnum. Al ghignò, fece un tiro dal sigaro, guardò Monahan e Bullock. «Avvocato. Sceriffo.» disse.
«Sei libero, Farnum, ma ti terrò d’occhio.» disse Bullock, infilando i pollici nel cinturone.
«Libero e senza un soldo.» commentò Al. «Ti servirà un lavoro.»
«Per te sono il signor Farnum.» il nero piantò gli occhi in quelli del padrone del Gem e ce li lasciò finché Al non sorrise e disse: «Ma certo, signor Farnum. Beh, posso offrirle un impiego nel mio teatro, se le interessa.»
Il nero fece spallucce. «Non posso tornare a casa, quindi… perché no.» disse.
Al rise forte, la mano del sigaro appoggiata alla pancia.
«Uomo saggio, Farnum.» disse.

Il mattino vide lo sceriffo Bullock camminare per Chinatown ed entrare nella sala da bagno del signor Wong.
La zona cinese era pulita, rispetto a quella americana, e sul retro degli edifici non c’era il solito cumulo di bottiglie, sporcizia e mobili rotti.
Bullock respirò un vago aroma d’oppio ed entrò nei bagni, salutò Wong e gli diede il cappello. «Del caffè.» disse. Il signor Wong annuì con un breve inchino, ma aspettò che lo sceriffo gli cacciasse in mano un dollaro.
Dieci minuti più tardi, Bullock sorseggiava il suo caffè, mentre era immerso nell’acqua calda della vasca.
Un momento dopo, sentì del trambusto provenire da fuori. Wong parlava con qualcuno, ora in cinese, ora in americano, ma non si capiva bene cosa dicesse.
Bullock vide entrare Farnum, vestito di tutto punto e con un cappello nuovo in mano. Aveva anche una grossa cipolla d’argento nel taschino.
«Quasi non la riconoscevo.» disse lo sceriffo. Il nero si pinzò i lembi della giacca e fece un giro su se stesso. Fu allora che Bullock notò il cinturone e la pistola.
«Vedo che porta un bel ferro.»
«Un anticipo sullo stipendio.» disse Farnum.
«Già, ora lavora per il signor Swearengen. Come può cambiare la fortuna di un uomo, ieri condannato a morte e oggi onesto cittadino americano.»
«Ben detto, sceriffo.» Farnum sorrise e cominciò a spogliarsi, diede i propri abiti all’impiegato del signor Wong ed entrò nella vasca accanto.
Da fuori giungeva ancora il trambusto.
«Sono miei ammiratori.» spiegò Farnum.
«Disturbano la quiete pubblica.» fece notare lo sceriffo.
«Sapesse quanto disturbano me! È da un’ora che s’accalcano davanti al Gem per vedermi.»
«Per vederla?»
«Già. Sono l’uomo del futuro, ricorda, sceriffo? Mi fanno domande, mi chiedono come sarà il domani. Una domanda, un dollaro, niente sconti.»
Bullock sogghignò. «E lei quanto si becca?»
«Il cinquanta percento.» rispose l’altro.
«Beh, il signor Swearengen è un dritto, devo riconoscerglielo.» commentò lo sceriffo.
«Non sono stupido, Bullock. So che quel tipo mi tiene come una gallina dalle uova d’oro, ma so abbastanza della storia del paese per capire i miei spazi di manovra. Nel diciannovesimo secolo mi considerano un “negro”, mentre a casa mia, se qualcuno s’azzardasse a dire quella parola, finirebbe sotto processo, ma nel 2085 mi hanno accusato d’omicidio, perciò, se torno, mi ammazzano.»
«Lei può tornare, signor Farnum?» domandò lo sceriffo.
«Mi hanno offerto un biglietto di sola andata, ma troverò il modo.»
«Sarebbe una bella notizia se si venisse a sapere.»
«Di che? Dei viaggi nel tempo?» domandò Farnum. «Sono roba del governo. Noi cittadini non ne sappiamo nulla.»
«Lo sa che Marian Hargrove vuol tornare al tempo di Gesù?» fece Bullock.
«Chi? La donna di fede? E come?»
«Non ne ho idea. Del caffè?»
«Già, ne ho bisogno.» disse Farnum, con un sorriso… che Bullock ricambiò.
«Lei è di queste parti?» chiese lo sceriffo.
«Nato e cresciuto.» dichiarò Farnum.
Bullock meditò sulla notizia annuendo. «E com’è Deadwood nel 2085?»
Il nero ridacchiò. «Molto più grande.» disse, allargando le braccia e schizzando acqua per terra.
«Beh, sono contento che non sia sparita.»
«Affatto! Siete piuttosto famosi, per via dell’assassinio di Hickock.»
«Mi spiace che un posto venga ricordato per un delitto.»
«Le cose vanno così, sceriffo. Che ci vuol fare?»
«Già.» Bullock finì il suo caffè.
«E lei da dove viene?» domandò il nero.
«Ontario.»
«È canadese? Non lo sapevo.»
«Mio padre era un ufficiale britannico in pensione e mia madre veniva dalla Scozia.» spiegò Bullock. «E ora, quanto le devo per le sue risposte sul futuro?»
«Niente, sceriffo. Niente.» Farnum rise e diede una manata sull’acqua. «Ma potrebbe insegnarmi a usare la pistola.» aggiunse.
«Non ne è capace?»
«Non sono un assassino, ricorda?» disse il nero.
«Un uomo non dovrebbe portare la pistola, se non sa usarla.» Bullock si alzò di colpo, facendo strabordare l’acqua, si frizionò con l’asciugamano e cominciò a vestirsi.
Farnum recuperò la Colt dal proprio cinturone e ne guardò la canna, lunga e lucida. Sentì uno scatto metallico e vide Bullock con in pugno la sua .45.
«Cristo!» il nero urlò, facendo un salto e schizzando acqua.
Lo sceriffo lo guardò, freddo, dalla canna della Colt. «Non lo faccia più, Farnum. Non giochi con quel ferro.» disse.
«E lei beva meno caffè…» borbottò il nero.

immagine originale qui.
«Vede, signor Farnum, qui la gente è diversa dal suo tempo e lo so anche se non sono mai stato nel 2085.» Al Swearangen gesticolava col sigaro, seduto sul portico del Gem. «Se insulta qualcuno, deve essere pronto a difendersi.» aggiunse.
«Quell’idiota di Bullock è saltato su con la pistola in pugno!» Farnum scosse la testa e fece un tiro di sigaro, sputò il fumo, guardò il sigaro e disse: «Mica male.»
«Solo il meglio per gli amici.» disse Al.
«Ah, stanno così le cose?»
«Mi ascolti, mister.» disse Al. «Questa città è in espansione. Le miniere sulle Black Hills lavorano a pieno ritmo. Fra qualche anno avremo la ferrovia e, come dice lei, diverremo uno stato… il Sud Dakota. Ci sono molte opportunità, per un uomo che sappia coglierle.»
«Cosa mi consiglia di fare?» domandò Farnum.
«Beh, non dirò che lei non sia una miniera d’oro. Faccia due conti: questa città ha circa quattromila abitanti. Se ciascuno di essi le fa una domanda e lei guadagna mezzo dollaro a domanda, beh avrà duemila dollari entro poco tempo. Vede, oggi è venuta un sacco di gente e domani sarà lo stesso e così dopodomani. Lei farà duemila dollari, ma potrebbe farne di più, in un paio di settimane, tre al massimo. Ci potrebbe fare tre cose: investirli in un ranch, una miniera o una lavanderia.»
«Ehi, dov’è la fregatura?» sbottò Farnum.
«Voglio essere chiaro con lei. Se avvia un ranch deve metterci i soldi, ma le servirà uno di noi che faccia da proprietario.»
«Cioè un bianco?»
«Proprio così. La stessa cosa per una concessione mineraria, anche se, con le amicizie giuste, potrebbe esserne socio.»
«E la lavanderia?»
«Ehi, sono tutte in mano ai cinesi, perciò, si faccia avanti.» Al aprì le braccia e sorrise.
Farnum alzò un sopracciglio e si mise a mordicchiare il sigaro.
«Quanto guadagna una di queste lavanderie?» chiese.
«Dieci, quindici dollari al giorno.» rispose Al.
«E per le spese di avvio?»
«Signor Farnum, una baracca si tira su senza problemi. L’acqua del torrente e il legno della foresta sono gratis.» disse Al.
Il nero annuì e s’appoggiò allo schienale della sedia, con un ghigno sulla faccia.
«Swearengen…»
«Mi chiami “Al”.»
«Okay, Al, il 2085 è pieno di gente come lei, il che vuol dire… non darmela a bere, amico. Il ranch, la miniera, la lavanderia. Cosa ci guadagna lei
«Perspicace per un negro, signor Farnum.» sghignazzò Al. «Mettiamola così, è ora che qualcuno rompa il monopolio cinese delle lavanderie e quel qualcuno può essere lei.»
«E se poi questo qualcuno le è anche amico…»
«L’ho detto, lei è perspicace.»
«Per essere un negro. Sa, Al, ho visto una montagna di pellicole sulla schiavitù e sulla segregazione razziale, ma non mi ci sono mai trovato in mezzo, non finché quel bastardo di giudice Pritcher mi ha condannato. Nel mio paese lei, Al, solo per aver detto “negro” finirebbe in un mare di guai.»
«Oh, ma qui non siamo nel suo paese, signor Farnum, qui è lei a doversi adattare a noi.» Al aprì le braccia e sorrise.
«E lei, però, vuole avere un amico nelle lavanderie.»
«Giusto.» disse Al.
«Ho fatto un discorso all’avvocato Monahan,» disse Farnum. «gli ho detto che, essendo un tizio del futuro, sarebbe meglio far rimanere la mia presenza un fatto locale, per evitare le interferenze del governo o dei servizi segreti, non è d’accordo?»
«Dove vuole arrivare?» Al guardò il nero in tralice.
«Oh, a niente. Lavanderia, amico, zero cinesi, zero governo e niente parola “negro” o trattamenti diversi.»
«Capisco. Lo trovo ragionevole.»
«E voglio poter comprare la mia terra.» aggiunse Farnum.
«Credo si possa fare anche questo, ma le servirà un amico… come me
«Già…» il nero annuì, mordicchiando il sigaro.

Quella sera, Ethan Farnum uscì a passeggiare. Un uomo che non conosceva lo salutò. Passò un carro e alcuni cowboy si toccarono la tesa del cappello nella sua direzione.
Farnum sorrise e inclinò la bombetta nuova di lato, mise in bocca il sigaro e controllò la cipolla d’argento. Le 21.44.
Una pianola automatica suonava al Liberty saloon, mentre alcuni ubriachi oziavano sul portico del No. 1.
Farnum sentì il cigolio di una pompa. Più giù su Main Street, un uomo raccoglieva l’acqua in un secchio. Il nero lo guardò e lo salutò.
«’sera, monsieur.» disse quello. Farnum si avvicinò, facendo tintinnare gli speroni nuovi.
L’uomo era di colore. Vestiva con una camicia sporca e calzoni larghi tenuti su da un paio di bretelle.
«Buonasera a lei.» disse Farnum.
Il nero sorrise. «L’ho vista con monsieur Swearengen.»
«Allora sai chi sono.»
«Certo, signore, lei è l’uomo del Sud Dakota.»
«E lei è?»
«Anton Dupree. Sono un fabbro e lavoro laggiù.» indicò un edificio di legno.
«Ferri i cavalli?»
«Sissignore.» disse Dupree. «E riparo pistole e fucili.»
«Sai sparare?» chiese Farnum.
«Sissignore.» Dupree chinò il capo. «Ha una bella pistola, signor Farnum.»
«Già!» l’uomo del futuro snudò l’arma e la fece girare con un dito sul ponticello del grilletto.
«Una Colt a canna lunga dal calcio in avorio. L’ho venduta io a monsieur Swearengen, signore.»
«Sei francese?»
«Vengo dalla Louisiana. Un bel posto, se vuol saperlo.» disse Dupree.
«Signor Farnum!» qualcuno chiamò dal Gem. Al era apparso sulla porta e sfumacchiava un sigaro.
Si avvicinò, sorridente. «Vedo che fa conoscenza coi cittadini. Bene!» disse.
Dupree abbozzò un sorriso e abbassò gli occhi. Al non lo degnò che di uno sguardo, prima di rivolgersi totalmente a Farnum.
«Ho già notato la sua straordinaria costituzione fisica, signore.» disse, squadrandolo.
«Giocavo a football, all’università.» spiegò Farnum.
«Football? Non è quello sport che praticano in Inghilterra?»
«Diamine! Palla ovale, Super Bowl?»
«Sono cose che non mi dicono niente. Ma ascolti, Farnum, pratichiamo anche noi degli “sport”, qui al Gem. Sa tirare di pugni?»
«Fare a pugni? Ho fatto parecchio a pugni da ragazzo.»
«Beh, potrebbe vincere il premio di stasera, cento bei verdoni, se batte Mountain Ox.» disse Al.
«Che, a giudicare dal nome, sarà un bue di due metri e sarà il favorito. Se io vinco, mi becco quei miseri cento dollari, mentre lei, Al, dandomi vincente cinque a uno, sbancherà quegli stupidi polli, dico bene?»
«Ha molte fiducia nelle sue capacità, signor Farnum.» Al fece un sorriso da squalo.
Dupree si tolse il cappello e ne strinse la tesa con entrambe le mani. «Non vada, monsieur! Quel Mountain Ox sa davvero tirar pugni.» disse.
Farnum sorrise e si tolse la giacca. «Vedremo.»

Mountain Ox era un irlandese di due metri con una bombetta, troppo piccola per la sua testa, e un paio di favoriti color rame. Sudava e puzzava come una botte di whisky.
Farnum si presentò nella sala del Gem a petto nudo e senza stivali. Al loro posto, calzava un paio di strane scarpe, bianche e leggere. Ox era a piedi nudi.
Farnum entrò nel cerchio di minatori, cittadini e puttane, sorridendo e flettendo i muscoli. Fece scrocchiare il pugno sinistro e avvertì, per un attimo, il dolore all’indice, vecchio incidente di football. Pensò a com’era ridotta la mano dopo quella maledetta partita, pensò alla corsa in ospedale, alle tre operazioni e all’allenatore che gli aveva stroncato la carriera.
Si pompò di rabbia e squadrò Mountain Ox, che gli disse: «Ti darò una bella battuta, negro!»
Farnum fece un paio di saltelli sul posto. Non dormiva da due notti, ma si sentiva pieno di forze. Non capita tutti i giorni che una sentenza di morte non venga eseguita.
Attorno a lui, la gente scommetteva e urlava. Al Swearengen era lì in mezzo, con un bicchiere di whisky e un sigaro in mano. «Signore e signori, gentiluomini e puttane! Ecco a voi Ethan Farnum, l’uomo del futuro, che sfida il campione di pugilato locale, mister Mountain Ox.»
Qualcuno scaricò la pistola in aria, eccitando ulteriormente gli animi. Qualcun altro disse: «Forza, negro!»
E Mountain Ox colpì. Farnum non si accorse quasi del movimento, ma sentì una mazzata tremenda al viso, che lo mandò a terra. Quel bestione era rapido, per la sua stazza.
Tuttavia, Farnum aveva giocato a football ed era avvezzo a botte del genere. Quando un difensore di centocinquanta chili ti butta giù, e riesci a rialzarti, puoi sopportare anche il pugno di Mountain Ox.
Così Farnum, di nuovo in piedi, aspettò che quello si avvicinasse e schivò il suo uno-due. Ox gli rifilò una mazzata al fianco, che gli tolse il fiato e Farnum dovette indietreggiare.
«Avanti, negro!» urlò qualcuno.
Ox avanzò, con un ghigno negli occhi porcini. Farnum fece una finta, ma l’altro non si lasciò ingannare e sferrò un destro. Farnum schivò, uscì a sinistra e gli rifilò un gancio. Ox ne fu sorpreso: era la prima volta che veniva colpito.
Il nero indietreggiò e riprese fiato. L’altro scattò come un serpente, sganciando un destro. Farnum se lo lasciò passare sopra la spalla, ma Ox lo sgambettò da dietro. Farnum piombò a terra. Si rimise in piedi. Ox gli sferrò un sinistro con tutto il suo peso. Quella massa di carne piombò sullo stomaco del nero, mozzandogli il fiato e schiantandolo a terra.
I piedi di Farnum erano già in alto, quando l’irlandese gli si gettò addosso, con la chiara intenzione di strangolarlo. Con le suole ben piantate sul grasso di Ox, Farnum spinse e mandò il bestione a volare contro gli spettatori. Ci furono urla e uno schianto. Quando Farnum si alzò, vide Ox tirarsi su da un tavolo distrutto. L’irlandese sanguinava da un brutto taglio alla fronte e zoppicava con la gamba destra.
Si avventò su Farnum più lento di prima e sferrò un sinistro. Il nero deviò il colpo con l’avambraccio destro e gli rifilò un gancio all’orecchio. Ox indietreggiò e Farnum lo martellò con un destro al fegato. Ma quando fece partire il sinistro, sentì una fitta al dito. Urlò. Ox gli diede una  spallata e lo spinse contro un tavolo. Farnum riprese fiato e schivò un sinistro, rovesciò il tavolo e si spostò indietro. L’irlandese fece volare via il mobile e caricò il nero a testa bassa. Farnum agguantò Ox per la cintura e lo scagliò via con una mossa di aikido.
Il bestione colpì uno degli spettatori e rovinò a terra. Farnum prese due ampie boccate d’aria e avanzò, mentre Ox si rialzava.
«Forza, negro! Finiscilo!» ruggì la folla.
L’irlandese aveva la bocca insanguinata, ma era combattivo. S’avventò su Farnum con un urlo. Il nero lo fermò con una mazzata al fegato e un gancio allo zigomo. La faccia di Ox esplose di sangue. Farnum sganciò un montante.
E il bestione finì al tappeto.
Ethan Farnum rimase lì, trasognato, e sghignazzò. Più tardi avrebbe sentito male ovunque, ma adesso era felice, felice e forte.
Attorno a lui, la folla esplose in urla di gioia. Si udirono alcuni colpi di pistola. Qualcuno fracassò una bottiglia.
Al sorrideva e contava i soldi. Strizzò l’occhio a Farnum e gli batté una mano sulla spalla.
«Offro da bere a tutti!» disse.

Pesto e malconcio, Farnum s’incamminò verso il Gran Central Hotel, lasciando Swearengen alle sue glorie e ai suoi soldi. Cento dollari gli andavano bene, per ora.
«Signor Farnum, Ethan!» lo chiamò Al. Il nero si girò e vide l’altro appoggiato al portico del Gem, con un sigaro in mano. Sorrideva.
«L’ha proprio steso, quel bue!» disse.
«Gliel’ho detto che giocavo a football.» replicò Farnum. «Beh, l’ho vista muoversi e… quelle strane calzature sono favolose.» disse Al, indicando i piedi del nero col sigaro.
«Sono scarpe da ginnastica.» spiegò Farnum. «Un’altra invenzione del 2085?» Al aprì le braccia e sorrise.
«Esistono da molto prima.»
«Sarebbe interessante metterci degli speroni. Le faccio preparare un letto?»
«Oh, andrò in albergo.» disse Farnum, indicando l’altra parte della strada.
«Dal vecchio EB?» Al sghignazzò. «Le farò mandare su qualche donna.»
«Così mi becco sifilide e aids in un colpo.» disse Farnum. «Lasci stare, Al.»
«E per quanto riguarda la nostra chiacchierata?»
«Mi lasci dormire e ne riparliamo.»
«Non ci dorma troppo su, però, signor Farnum.» ora nella voce di Al c’era qualcosa, una leggera nota più fredda.
Il nero salutò alzando tre dita e attraversò la strada.
Il Grand Central Hotel aveva l’aria da saloon che s’è dato una ripulita, ma andava bene. Dopo due notti insonni e una condanna a morte, qualunque cosa va bene.
Farnum andò al bancone, dove il portiere gli spiegò che doveva registrarsi scrivendo il nome o apponendo una croce.
«So scrivere meglio di te.»
«Quanto desidera rimanere, mister?»
«Pago una settimana, per il momento.»
«Fanno diciassette dollari, pagamento anticipato.»
«Qui c’è scritto 12,50.» Farnum indicò un prezziario inchiodato al muro.
L’impiegato sorrise. «Beh, signore, fanno diciassette dollari.»
Farnum scosse la testa e mormorò: «Idioti razzisti. Pensi che non abbia diciassette pidocchiosi dollari? Ce li ho, ma te ne do dodici e mi sconto cinquanta cent.» poi, tirò fuori la pistola e la puntò addosso all’uomo.
«Devi armare il cane.» disse una voce.
Farnum si girò e vide Bullock, fermo sulla porta.
«Cristo, sceriffo! Non la potete piantare d’essere razzisti per una notte?»
Bullock rise, poi fulminò l’impiegato con lo sguardo. «Dai il resto per dodici dollari al signore. Io metterò i cinquanta cent.»
«Mister Farnum non sarà contento, sceriffo.» disse l’uomo.
«Digli di venire a parlarmi.» fece Bullock.
Nella camera c’erano: un letto, un catino, due asciugamani, un pezzo di sapone, una sedia, un cassone e perfino un armadio. Una porta dava accesso alla balconata, da dove si aveva una splendida vista sui pini e sul monte Moriah, dalla cima incappucciata di neve.
Farnum si era appena tolto la bombetta, quando bussarono. «Chi è?»
«Il portiere, signor Farnum.»
Il nero lo fece entrare. Il portiere aveva in mano i suoi stivali e una scatola di sigari e cerini. «Glieli manda il signor Swearengen.» disse.
«Mettili sul letto e sparisci.»
«Sissignore.» quello chinò il capo, obbedì e si chiuse la porta alle spalle.
Prese la sedia e la portò sul balcone, dove rimase a fumare, guardando la luna.

fine

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